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Indifferenza, populismo e crisi delle élite. E’ tutta colpa di internet!

Luciano Capone

“Gli strumenti della disintermediazione digitale si stanno infilando come cunei nel solco di divaricazione scavato tra élite e popolo, prestandosi all’opera di decostruzione delle diverse forme di autorità costituite, fino a sfociare nelle mutevoli forme del populismo, antisistema e radicale, che si stanno diffondendo rapidamente in Europa e in occidente”, dice 13° Rapporto Censis sulla comunicazione.

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Roma. E’ uscito il 13° Rapporto Censis sulla comunicazione, dal titolo “I media tra élite e popolo”. Lo studio è molto ampio e ricchissimo di dati che descrivono il cambiamento dei consumi mediatici degli italiani e che in una certa misura descrivono anche come sta cambiando la società. La televisione continua a essere il mezzo più usato (97,5 per cento della popolazione), con un numero di telespettatori in crescita (più 0,8 per cento in un anno) e restano alti anche gli ascolti della radio (84,9 per cento). Calano invece i lettori dei quotidiani, scesi ancora dell’1,4 per cento nell’ultimo anno e del 26,5 negli ultimi dieci, per una popolazione di lettori scesa ormai poco sopra il 40 per cento della popolazione.

 

A questo calo corrisponde la crescita della diffusione dei quotidiani online, più 2 per cento in un anno. Allo stesso modo, quasi parallelamente, si riducono di molto i lettori di libri (meno 4,3 per cento in un anno), con una quota di lettori ormai scesa al 47 per cento. L’abbandono dei libri cartacei è solo in parte compensato dall’aumento dei lettori di e-book, che salgono dell’1 per cento, ma rappresentano solo il 10 per cento della popolazione. Un dato positivo arriva dall’aumento della penetrazione di internet, che cresce di 2,8 punti nell’ultimo anno e tocca ormai il 73,7 per cento degli italiani (con i giovani under 30 al 95,9 per cento, praticamente la totalità). Negli ultimi 10 anni si è ridotto drasticamente il digital divide, con un incremento degli utenti di internet del 28,4 per cento, da meno della metà nel 2007 a quasi tre quarti degli italiani oggi.

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Dai dati del Censis emerge anche la notevole e rapida diffusione dei social network e delle piattaforme di comunicazione, con Whatsapp che in breve è diventata l’app più diffusa (61,3 per cento), seguita da Facebook (56,2), Youtube (46,8), con punte che quasi toccano il 90 per cento tra i giovani. In generale gli utenti dei social network sono passati negli ultimi tre anni dal 49 al 65 per cento della popolazione, con un passaggio del modo d’informarsi  “dal modello tele-centrico alla concezione ego-centrica”.

 

E qui, dai numeri, il Censis passa alla descrizione dell’impatto dei nuovi media sulla società e sul rapporto con le élite: “Gli strumenti della disintermediazione digitale si stanno infilando come cunei nel solco di divaricazione scavato tra élite e popolo, prestandosi all’opera di decostruzione delle diverse forme di autorità costituite, fino a sfociare nelle mutevoli forme del populismo, antisistema e radicale, che si stanno diffondendo rapidamente in Europa e in occidente”.

 

Il Censis sembra così indicare che internet e i new media siano all’origine delle scosse telluriche che fanno ballare le democrazie occidentali. Come esempio dei nuovi media che inducono “a forme di indifferenza” anche “in soggetti istruiti e impegnati”, il rapporto cita il caso della Brexit, rispetto alla quale sui social i giovani erano ampiamente contrari, salvo poi andando in ben pochi alle urne. Indifferenza, populismo, ribellione contro le élite, decostruzione dell’autorità e scontro tra giovani e vecchi. Sembra che tutto dipenda dai nuovi media e il resto sia solo sovrastruttura. Forse si sta andando troppo in là, attribuendo a internet il ruolo di generatore dei sommovimenti della società quando invece ne è solo un amplificatore.

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Ad esempio il calo della partecipazione elettorale dei giovani viene da lontano e forse dipende dal fatto che non ritengono utile la partecipazione a un gioco da cui escono puntualmente perdenti. Allo stesso modo la loro rabbia dipende forse più dalla disoccupazione giovanile (circa il 50 per cento), che dalla disintermediazione, così come l’antipolitica e la decostruzione delle autorità dipendono dall’incapacità della democrazia decidente e delle sue istituzioni di dare risposte alle sfide della globalizzazione. I nuovi media sono importanti, ma non bastano a spiegare tutti questi cambiamenti. La faccenda è più complicata.

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