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Inganni artistici

Esporre di nascosto le proprie opere in una mostra è (talvolta) gesto artistico

Francesco Stocchi

Il caso del quadro appeso da un dipendete del museo a Monaco di Baviera. L'ultimo di una lunga serie di interventi "abusivi" dell'arte

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Siamo nei primi anni del '900 e in occasione del celebre Salon d’Automne di Parigi, Medardo Rosso era solito allestire le  proprie sculture nelle sale di pittura, così da offrire un confronto diretto con Renoir e Cezanne. La rifrazione della luce sulla superficie, la frontalità, il punto di vista unico che presenta un dipinto erano caratteristiche essenziali nell’innovativa ricerca scultorea di Rosso. Grazie a questi gesti che si ribellavano alla severa divisione per sale di pittura e di scultura, abbiamo poche ma significative fotografie di confronto diretto tra i due medium, inscenate dall’artista italiano.

Rosso non è l’unico a essersi sostituito ai curatori, muovendo a suo piacimento opere all’interno di un museo, anche se quanto successo pochi giorni fa a Monaco di Baviera è per motivi meno nobili, e comunque non legati alla ricerca intrinseca dell’opera, alla sue possibili forme vitali, ma nella ricerca di future opportunità. I visitatori della Pinakothek der Moderne di Monaco vengono per ammirare i tesori modernisti di Picasso, Franz Marc, Oskar Schlemmer e simili. Ma questo mese, alcuni hanno potuto vedere il lavoro di un dipendente del museo, apparentemente appeso senza autorizzazione alle pareti accanto a capolavori del 20esimo secolo. La Süddeutsche Zeitung ha riferito che nemmeno il museo è sicuro di quanto tempo l’opera sia rimasta sul muro.

La guardiania nei musei è mestiere complesso, massima attenzione ai comportamenti del pubblico che sono imprevedibili. Sono stato guardiano durante un breve periodo e capisco bene la complessità del ruolo di garante, non solo delle opere esposte ma anche della corretta visita di tutto il pubblico. Il tutto senza mostrare un atteggiamento da poliziotto. Per evitare che il tempo non passi mai pur rimanendo vigile, bisogna inventarsi delle strategie di sopravvivenza. In questo caso presso la Pinakothek der Moderne tali strategie sono state al servizio del riconoscimento del proprio genio da parte del pubblico, una volta la sua opera esposta al cospetto di maestri indiscussi. Capiamo bene il gesto passionale, numerosi sono stati gli artisti che con un atto di critica istituzionale hanno infiltrato la propria opera all’interno di allestimenti museali.

L’anno scorso, sempre in Germania, una scaltra studentessa ha introdotto un suo dipinto nella Bundeskunsthalle, attaccandolo al muro con del nastro biadesivo. I curatori si sono accorti che qualcosa non andava solo quando hanno smontato la mostra e sono stati sorpresi di trovarsi tra le mani un quadro in più. L’artista è Danai Emmanouilidis e il suo dipinto è stato poi venduto all’asta con i proventi finiti in beneficenza. Uno degli artisti, o attivisti, più noti al mondo, Banksy, si rese celebre con un atto simile di guerriglia museale. Nel 2003, Banksy entrò alla Tate Britain travestito da pensionato per appendere un dipinto alla parete della galleria raffigurante una scena di campagna idilliaca, segnata da linee di nastro blu e bianco della polizia, e appeso accanto a un paesaggio del 19esimo secolo. Il museo avviò un’indagine, ma l’artista, che all’epoca stava rapidamente diventando una retorica celebrità dell’antiretorica, aveva raggiunto la notorietà per il suo gesto contro l’élite artistica.

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“Passare attraverso il processo di selezione di un dipinto deve essere piuttosto noioso”, dichiarò al Guardian. “E’ molto più divertente andare ad affiggere il proprio dipinto. Si tratta di eliminare l’intermediario, o il curatore nel caso della Tate”. Avrei risposto che proprio la noia è alla base del processo creativo.

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Ma forse, tra i vari artisti che si sono cimentati in questi gesti, nessuno è stato più tenace dell’artista israeliano Eliezer Sonnenschein, che ha trascorso gran parte degli anni Novanta a introdurre di nascosto le sue opere nel Museo d’Arte di Tel Aviv, sostituendo i suoi pezzi rinnegati ogni volta che venivano rimossi dal personale del museo. Il gesto era diventato una pratica artistica concettuale e la tenacia paga. Nel 1996, la curatrice del museo Ellen Ginton vide un’opera che apprezzava: Sonnenschein aveva lasciato una piccola scultura raffigurante una cacca sopra una pasta e una scatola di sigarette. L’opera rimase esposta, la carriera di Sonnenschein fiorì e Harald Szeemann incluse il suo lavoro nella Biennale di Venezia del 2001.

Sempre nell’ambito del gesto concettuale, ancor prima di Sonnenschein, nel 1976 l’artista Dove Bradshaw appose un’etichetta fatta in casa vicino a una manichetta antincendio nel Metropolitan Museum of Art, rivendicandola come sua opera e chiamandola, appropriatamente, “Fire Extinguisher”. Nel 2007, il Met ha acquisito l’etichetta come opera d’arte per la sua collezione permanente. Sicuramente il solerte (ora ex) guardiano della Pinakothek der Moderne, non dovrebbe essere descritto come guardiano aspirante artista, bensì un artista aspirante guardiano, forse una mossa concettuale? Gli auguriamo il meglio.

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