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La libertà di essere Martin Amis

Annalena Benini

La storia umana di uno scrittore magnifico e di un fantasmagorico gruppo che ha applicato all’amicizia e alla capacità di utilizzare le parole un sentimento eroico. Un modo di stare al mondo che ride di tutto ma prende la letteratura molto sul serio

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“C’era voluto un po’ più di tempo per stabilire l’origine ed emettere il verdetto: cancro all’esofago, stadio IV. ‘E, – come Christopher aggiungeva subito – non esiste lo stadio V’”. Martin Amis racconta la malattia del suo grande amico e saggista Christopher Hitchens, morto a sessantadue anni, ed è la stessa malattia che ha ucciso Amis due giorni fa, ed è la stessa malattia che ha ucciso un altro intimo amico, il poeta Philip Larkin. “Si pensa di non nascondere alcun segreto all’amico più caro, ma a nessuno si dice mai tutto. Nessuno dei due avrebbe ricordato che Larkin era morto di cancro all’esofago all’età di sessantatré anni. E per noi i sessantatré erano alle soglie… Visibili a occhio nudo”. Martin Amis ha avuto più tempo, una manciata di anni in più per vivere, per scrivere, per fare la guerra ai cliché e per offrirci un ultimo grande libro, in uscita domani per Einaudi con la traduzione di Gaspare Bona. Si intitola “Una storia da dentro”, sono settecento pagine di autobiografia romanzata che celebrano in quel modo tortuoso, impetuoso e limpido insieme l’amicizia e la letteratura: non sfuggono mai alla morte, non rinunciano mai al pensiero, al desiderio e all’alcol. 


Una volta che superi i sessanta, scriveva Martin Amis in un romanzo di qualche anno fa, i compleanni cominciano a cadere due volte l’anno, poi tre. Si va veloci, sempre più veloci verso qualcosa, ed è un tipo di velocità che comincia con una sensazione precisa: “E’ andata un po’ tanto in fretta, cazzo”. Nella Vedova incinta (tutti i suoi libri sono pubblicati in Italia da Einaudi), Martin Amis scrive che proprio in quel momento nella vita compare una enorme e inaspettata presenza, come un continente inesplorato: il passato. 


Che cos’è il passato, adesso? La storia umana di uno scrittore magnifico che una volta definì la propria vita come “tranquillamente debosciata”,  ed è anche la storia di un fantasmagorico gruppo che in quel tempo prima largo e debosciato e poi sempre più contratto ha applicato all’amicizia e alla capacità di utilizzare le parole un sentimento eroico: Ian McEwan, uno dei migliori amici di Martin Amis, sarà adesso annichilito dal dolore. Tutti insieme, finché c’era vita e quindi energia, non finivano mai di discutere, bere, parlare, litigare, amarsi, dirsi la verità anche brutale, farsi strada nel mondo partendo dall’alto di una predestinazione, cioè di una qualità intellettuale straordinaria, che ha rifiutato i convenevoli, le cerimonie e la mancanza di eccessi. E che si è sempre misurata con il presente. Le regole ferree sono state applicate soltanto alla letteratura. Martis Amis era, secondo Christopher Hitchens, “amato dalle donne e adorato dagli uomini”. Poteva incappare in una parola che non gli piaceva, perché banale o troppo usata, e allora la sottolineava con una smorfia di quel “labbro possente”. Una volta Hitchens usò in un articolo l’espressione “risultato non da poco”, e Amis glielo rimandò tutto sottolineato per prenderlo in giro. Si è rifiutato a lungo di leggere 1984 di George Orwell perché nella prima pagina contiene l’espressione “lineamenti rudi ma non sgradevoli”. Sono i dettagli di un modo di stare al mondo che ride di tutto ma prende la letteratura terribilmente sul serio. Gli eroi di Martin Amis sono Vladimir Nabokov e Saul Bellow, e anche Larkin e Hitchens, perché nella magia di una predestinazione è dato incontrarsi ed essere amici per tutta la vita. Una vita raggiante. Una vita intera, che a un certo punto finisce. Ma l’arte, i libri, e tutto quello che è stato fatto anche grazie a quelle infinite discussioni, a quegli scambi di parole non banali e di critiche libere e feroci, durano molto di più, a volte perfino per sempre.

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