Un carro armato sovietico T-34/85 distrutto a Budapest durante la rivolta del 1956 (Wikipedia) 

La Bella Morte riscritta con i se di Nanni

Giuliano Ferrara

Il film di Moretti suggerisce un esercizio retrospettivo sul 25/4. Ops!

Riscrivere la storia con i “se”, dice Moretti, perché no? Meglio che impiccarsi alla depressione. Ho trovato il suo ultimo film, dedicato al Sol dell’avvenire, divertente e aggraziato, con Nanni al centro che ti lascia vedere il film ma solo entro certi limiti, e lo commenta in modo sapido. Scontati certi moralismi e intellettualismi, imperdonabile il ballo o girotondo sulle note orientaleggianti di Battiato, ma per il resto è una commedia drammatica funny e edificante per un pubblico ex comunista come l’autore o genericamente “de sinistra”. Il cuore ideologico del film, che è anche un intreccio di storie d’amore e contiene un formidabile attacco comico alla cara Netflix, è quello che mi interessa qui. Se nel 1956, durante la rivolta ungherese soppressa nel sangue dai carri armati sovietici, un circo di acrobati e clown e elefanti magiari si fosse ribellato, se una sezione Antonio Gramsci del Quarticciolo si fosse rivoltata contro la linea del partito di Togliatti, difendere l’Ungheria dalla controrivoluzione, l’Unità sarebbe uscita con un titolo a nove colonne, dopo aver incassato l’insurrezione libertaria delle sezioni del Pci, un titolo di “Addio all’Unione Sovietica”, improbabile ma sempre meglio di “Scusaci principessa”, che fu il titolo sansonettiano dedicato all’incidente stradale di Lady Diana tanti anni dopo.

       

A Cannes rideranno di cuore, si compiaceranno di tenerezza infinita per la riscrittura benevola e sognante della storia, con parata finale felliniana delle facce popolari e di ceto medio riflessivo tanto amate dalla gauche internazionale, e apprezzeranno da bravi cinephiles lo humour certificato e godibilissimo di Moretti autore e attore. Lo stesso faremo noi italiani della Ztl e della collina di Monteverde a Roma, con la sua luce radente. Bravi tutti. Digiamolo, come direbbe La Russa. Però riscrivere la storia, anche se con un “se” retrospettivo beneaugurante, ha qualcosa di ambiguo. Ci hanno provato, senza se e senza ma, i magistrati d’assalto, e hanno semidistrutto la Repubblica dei partiti nata dalla Resistenza e inverata nel giorno della Liberazione. E a proposito dell’imminente 25 aprile, che l’Anpi vorrebbe dedicare alla lotta contro i fascismi al plurale, escluso beninteso quello guerrafondaio di Putin, che intanto recluta uomini da mandare al macello e a macellare gli ucraini chiedendo loro di dimostrare “che sono veri uomini”, altra versione della Bella Morte, si nota un clima intimidente da adunata, che stona con il significato vero della celebrazione anche per chi ci crede sinceramente e profondamente. Viene? Non viene? Se viene lo fischiamo come la Brigata ebraica o lo accogliamo nel segno della riconciliazione? Insomma, si battono contro il nuovo fascismo wagneriano (nome usurpato da sempre per tutti i fascismi), però sono fascisti e sono contro i diritti. Boh. 
       

Propongo una questioncella. Ammettiamo che esista in natura un regista fascista, ex fascista, postfascista, decidete voi, che abbia senso comico, pratica della commedia e di quella che Francesco Piccolo chiama la “bella confusione”. Direte che si può ammettere l’ipotesi ma non si può concederla per tanti motivi, e va bene. Ma l’ipotesi ha un suo senso nella logica della storia fatta allegramente con i “se”. La sua sceneggiatura prevede che Mussolini, accarezzato come il Togliatti di Moretti da una nostalgia burbera (“non voglio il suo primo piano”, dice Nanni), nel 1938 si mette in ascolto dei fascisti buoni che trovano rivoltanti le leggi razziali su paradigma hitleriano, e il Popolo d’Italia titola: “No al razzismo sterminatore”. Poi, nel 1940, calcola l’interesse nazionale che non è quello della retorica di regime e del suo vano espansionismo ai danni delle demoplutocrazie giudaiche, sicché non sloggia gli ambasciatori di Francia e Gran Bretagna, e il Popolo d’Italia titola: “Il Duce contro l’entrata in guerra”. No, dico, noi della Ztl rideremmo di cuore con La Russa e Lollobrigida? Accetteremmo la parata dei balilla e delle piccole italiane pacifiste?
       

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.