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facce dispari

Candida Carrino, a pesca di emozioni tra i documenti antichi

Francesco Palmieri

Come appassionare i refrattari alle vecchie carte e coinvolgere anche i più piccoli. La ricetta (vincente) della direttrice dell'Archivio di stato di Napoli. Intervista

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Chi mette piede in un Archivio di Stato, se non per obbligo o passione di studioso? Che sia “tutti” la risposta è ambizione di Candida Carrino, da quando guida la struttura nel monastero napoletano dei Santi Severino e Sossio. Lì si conservano settanta chilometri di documenti, le cui pile in alcuni saloni raggiungono 11 metri d’altezza. Se è facile attirare ingressi con la promessa di una tela del Caravaggio, è arduo riuscirvi con l’appeal di ponderosi faldoni, anche se custodiscono la storia pubblica e le storie minori di imprese e famiglie, epopee di prominenti casati delle Due Sicilie (l’acquisizione più recente è dai d’Avalos) o infimi casi ereditati nei secoli dalle corti di giustizia, che celano terribili vicende umane. Eppure 22 mila persone in tre mesi, senza scopi di studio, hanno varcato il portone dell’Archivio di Stato per gustare una mostra sui giocattoli degli ultimi tre secoli.

 

Ha fatto entrare i bambini in un austero “ufficio periferico” del Ministero della Cultura, ospitato in altrettanto austero convento frequentato da sparuti studiosi. E senza biglietto.

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La strategia è fare dell’Archivio un luogo di cultura aperto al pari di altri, con iniziative per cui mi sono ispirata al famoso caso delle prugne secche raccontato da Packard ne “I persuasori occulti”. Quando gli agricoltori californiani scoprirono che la loro produzione era associata a qualcosa di avvizzito e rugoso, ne trasformarono l’idea rilanciandola con l’immagine di ragazze giovani, belle e sportive. Ho pensato che anche le nostre carte non debbano essere percepite come prugne secche, bensì raccolte di storie che parlano di vita quotidiana. Sfruttiamo a questo scopo anche le piattaforme sociali e promuoviamo incontri, dibattiti, rappresentazioni teatrali.

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Perché al pubblico dovrebbe interessare un documento antico?

Non ci sono solo fogli vergati con grafie incomprensibili. Documenti sono anche le fotografie, sono gli oggetti. Stiamo radunando archivi aziendali che altrimenti andrebbero persi e invece sono occasione di racconto e educazione all’imprenditorialità per i giovani. Per esempio abbiamo acquisito l’archivio del designer modernista Filippo Alison, donatoci dalla moglie. Sei mesi fa abbiamo incamerato quello di Gutteridge, il sarto inglese che si trasferì a Napoli e rivoluzionò la moda maschile introducendo i pantaloni sopra la caviglia. E ancora il lascito di una fabbrica di guanti, attività in cui Napoli primeggiava nel mondo e ora è quasi scomparsa: esibiremo macchinari, forme, campionari, utensili. Sull’artigianato italiano abbiamo già promosso incontri, facendo dialogare il pubblico con imprenditori che resistono malgrado la concorrenza cinese, tra cui titolari di marchi con più di cent’anni.

E la tradizionale attività di consultazione?

Prosegue negli spazi appartati e silenziosi di sempre. Anzi, siamo l’unico Archivio di Stato italiano che dà la possibilità di richiedere documenti quattro volte al giorno aprendo anche il sabato mattina. In più, abbiamo allestito una sala contigua a quella per lo studio a uso delle ricercatrici che non sanno a chi lasciare i figli. Con fasciatoio, poltrona per l’allattamento, scaldabiberon e scrivanie a misura di bambino.

Come coprite i costi delle attività?

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Con le forze che abbiamo e la capacità di attirare regali. La mostra sui giocattoli è stata realizzata grazie al prestito di un importante collezionista. Il restauro di un ciclo degli affreschi nel chiostro del platano è stato sponsorizzato da Hermès. È un circolo virtuoso.

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Nel monastero si conserva anche l’Archivio Borbone

Lo Stato lo comprò nel 1951 dopo una lunga trattativa e occupa uno dei saloni più affascinanti. È una inestimabile raccolta delle vicende politiche, economiche, artistiche di una intera nazione, con una sezione esteri che testimonia i rapporti internazionali del Regno. Per dirne una: le visite degli inviati dello zar al manicomio di Aversa per aggiornarsi sulle sperimentazioni psichiatriche.

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Prossimi progetti?

Le ricerche sul fondo di richiesta passaporti da cui è possibile ricostruire identità e luoghi di partenza dell’emigrazione italiana. Assieme al Ministero degli Esteri costituiremo un grandioso database che potrà essere consultato online. O il censimento sulle coltivazioni di gelsi per i bachi, nei latifondi calabresi, quando fioriva l’industria della seta.

È vero che il platano del chiostro fu piantato da san Benedetto e ha proprietà taumaturgiche?

Inter nos, il santo non mise mai piede a Napoli. Però ai visitatori non lo dico: se qualcuno si porta devotamente una foglia caduta lo lascio fare. Le leggende funzionano anche nel tempio della storia documentata. Comunque, qui c’era un boschetto di platani nel IV-V secolo dopo Cristo: il nostro non è così antico ma nacque da un pollone di quelli.

Come appassionare un refrattario alle vecchie carte?

C’è sempre modo. Scossi un contesto sonnacchioso estraendo dai faldoni l’antica ricetta di un vermouth: quando lessi gli ingredienti tutti chiesero una fotocopia. Il sistema infallibile è suscitare un’emozione. Magari a lei non interessa il vermouth, se dico invece che custodiamo il fondo di Anna Maria Ortese le brillano gli occhi.

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