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il commento

La lezione di Jünger e Schmitt: in gioco non c'è, in Ucraina come ad Auschwitz, solo il concetto di libertà

Elisa Veronica Zucchi

Il ragionamento del politologo su Il nodo di Gordio del filosofo tedesco. Il nichilismo tra storia e filosofia, tra passato e presente. Un vincolo annoda il valore del tempo: il libero arbitrio

Il nodo di Gordio, ovvero la correggia – di cui non si vedeva né inizio né fine poiché avvoltolata nel timone collegato al giogo di un vecchio carro – divelta da Alessandro Magno con una spada illuminata, è assurto a simbolo di un desiderio imponente: se il conquistatore anelava alla realizzazione di un impero universale, in cui si accorpassero greci e barbari, l’aspirazione del raggiungimento di una fusione fra oriente e occidente persiste nei secoli come un labirinto inestricabile, al cui interno si va dipanando una forza fecondatrice e, al contempo, qualora il drago divenisse arbitrariamente incontrollabile – come oggi è purtroppo mostruosamente manifesto – annientatrice.

 

Nel titolo del saggio del 1953, quanto mai attuale, Il nodo di Gordio (Ernst Jünger-Carl Schmitt, a cura e con un saggio di Giovanni Gurisatti, Adelphi), lo scrittore e filosofo tedesco Ernst Jünger, come nota il politologo Carl Schmitt, evita il riferimento geopolitico all’est e all’ovest, poiché il suo focus d’interesse è la “questione vitale” che sottende l’analisi storiografica, sociologica e antropologica. 

 

Quello che è in gioco, ora in Ucraina, a Dnipro, come lo fu ad Auschwitz o a Voronež, non è solo il concetto di libertà, che assume connotazioni assai diverse in oriente e in occidente, ma quel nucleo di libertà che non può essere violato dal libero arbitrio, pena l’espansione di vortici di annientamento. Qualora accadesse – e sta accadendo – si affermerebbe il dominio del meccanismo, e il tempo perderebbe il suo valore, la sua tensione interna, il suo labirinto.

 

Non c’è forse la volontà di annullare il tempo nei forni crematori, nei crematori mobili russi a Mariupol, nelle fosse comuni, negli attentati kamikaze degli aviatori nipponici o degli estremisti islamici, nei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki? Ma di quale tempo stiamo parlando, qual è il tempo che si vuole annullare? Di certo Jünger non poté che essere influenzato dal rapporto personale e intellettuale con Martin Heidegger, il filosofo di Essere e tempo. In Oltre la linea, pubblicato in occasione del sessantesimo compleanno dell’autore del Nichilismo europeo, lo scrittore tedesco affronta il tema del nichilismo, o meglio, delle differenze fra i nichilismi, a partire dalle riflessioni sul tema e dai richiami a Napoleone contenuti in Delitto e castigo di Dostoevskij e nella Volontà di potenza di Nietzsche.

 

Se per Nietzsche il nichilismo è sintomo d’audacia e forza spirituale dispiegata, per Dostoevskij, che in tutta la sua opera indaga le dinamiche psicologiche insite nel substrato nichilista e ateo della società russa del XIX secolo, tale tempra apporta dolore (oltre che estrema consapevolezza) e proprio nella sofferenza trova redenzione. Quale potenza e quale timore allignano in seno al nichilismo, che sembra necessario alla grandezza come alla dissoluzione? Che tipo di tempo si annoda nell’individuo che, comprendendo appieno la sua epoca, sceglie la separazione dalla comunità? Premettendo che il nichilismo si distingue dal male – semmai, nota Jünger, ne è l’effetto – dove conduce la marcia nella “terra selvaggia”? 

 

Afferma lo scrittore tedesco: “Il dolore è immenso, eppure proprio nel mezzo dell’annientamento storico si realizza la forma del tempo. La sua ombra si proietta sulla terra arata, sul suolo sacrificale”. Un vincolo annoda il valore del tempo al suo annientamento: il libero arbitrio. Se l’essenza del tempo è fondativa, cioè fonda un luogo per cui combattere, una patria ideale (Heimat), la sua assenza è il monito di un pericolo. 

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