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Letture non da ombrellone. Cosa scegliere in libreria per il rientro dalle vacanze

Giulia Ciarapica

Vi consigliamo nove libri autunno-inverno, nove viaggi culturali tra critica letteraria, recuperi e riscoperte di autori semi dimenticati, cinema, arte e cancel culture

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Ogni anno fanno capolino online e non solo le famose liste di consigli di lettura “per l’estate” – roba leggera, frizzante misto thriller, ma soprattutto poco impegnativa, dato che verrà consumata tra un bagno e l’altro. Ma al momento di passaggio tra l’estate e l’autunno chi ci pensa? Chi prepara il lettore alla trasformazione “impegnata” in vista dei mesi freddi? Provvediamo noi.

 

I saggi, la critica, i classici: anche noi stiliamo la nostra listi di consigli con nove libri anti-ombrellone/prossimo autunno-inverno, nove viaggi culturali tra critica letteraria, recuperi e riscoperte di autori semi dimenticati, cinema, arte e cancel culture.

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Addii, fischi nel buio, cenni di Silvio Perrella, Neri Pozza

Partiamo con un prezioso volume di critica letteraria, che contiene i saggi scritti nel corso di circa trent’anni, tanto che la tripartizione dell’indice è: Anni Ottanta, Anni Novanta, Nel Duemila.

Silvio Perrella costruisce un viaggio nella storia letteraria del Novecento rifacendosi anche ad atmosfere precedenti a quella in cui scrive, e anzi, la generazione di riferimento è proprio quella “dei nostri antenati”, che fu “per ragioni insieme storiche e anagrafiche l’ultima generazione dei padri e delle madri”. Lo scrittore più giovane del volume è Goffredo Parise, nato nel 1929, e molto vicino a lui c’è Cesare Garboli: tutto ciò che viene dopo è la generazione dei Figli.

Perrella fa riferimento a nomi di grande rilievo, come Italo Calvino – su cui torna più volte – Maria Corti e il suo “Canto delle sirene”, Raffaele La Capria, Anna Maria Ortese ma anche Nicola Chiaromonte, Beppe Fenoglio e molti altri. I cenni di Parise che “prova a leggere la vita così com’è”, quelli di Pasolini che “legge la mutazione antropologica degli italiani”: sono questi gli emblemi di un mondo che sembra lontano, ma senza il quale, oggi, non scriveremmo altro che pagine bianche, prive di significati e tristi.

 

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Scorrettissimi. La cancel culture nella cultura americana di Costanza Rizzacasa d’Orsogna, Laterza

L’intero volume varrebbe già solo per l’introduzione, che inizia così: "Mark Twain, Harper Lee, Flannery O’Connor. Cancelliamoli tutti. Cancelliamo Omero, come aveva fatto un liceo del Massachussets, che ha bandito l’'Odissea' perché, nel IX secolo a.C., promuoveva idee non conformi ai moderni codici di comportamento: la povera Penelope che aspetta paziente per vent’anni il ritorno del marito non è certo il modello femminista da dare agli studenti".

Costanza Rizzacasa d’Orsogna, giornalista sempre attenta al panorama internazionale e soprattutto americano, con questo saggio ci porta dritti al cuore del dibattito sulla cancel culture, che indigna anche lo scenario europeo. Partendo dal concetto di cancel culture – cos’è e come ci siamo arrivati – l’autrice spazia da Twain a Roth, da Lee a Hemingway, fino ad arrivare ad Atwood e “Via col vento”, e alla fine ci siamo anche noi, che a inizio marzo di quest’anno, durante i primi giorni dell’invasione russa dell’Ucraina, abbiamo visto cancellato da parte dell’Università Milano-Bicocca il ciclo di lezioni di Paolo Nori su Dostoevskij. “Ventiquattr’ore di delirio”, le definisce l’autrice, che giunge alla conclusione più chiara di tutte: com’è giusto riconoscere i comportamenti sbagliati che prima venivano tollerati, non è altrettanto normale lasciare che la nostra suscettibilità salga alle stelle.

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Un saggio profondamente illuminante e innovativo che diventa non solo riflessione ma anche racconto dettagliato di questo terremoto culturale.

  

Kubrick e Caravaggio, sabotatori del reale di Francesco Fiotti, Mimesis

Iniziamo col dire che il saggio di Fiotti è uno dei più originali letti quest’anno, poiché ha l’arditezza di accostare due figure che di sicuro non sono vicine per epoca, né per mezzo: Kubrick e Caravaggio. Al percorso cinematografico dell’uno, si accostano tre tele dell’altro, la “Vocazione di san Matteo”, la “Cena di Emmaus”, e la “Conversione di san Paolo”. Ciò che rende sorprendente questo lavoro non è tanto l’originalità né la sola operazione di sovrapposizione di poetica di due geni assoluti, quanto l’intento che è dietro alle pellicole e alle opere: Fiotti cerca qualcosa di più, indaga lo spazio e il tempo occupati e sfruttati dallo spettatore per risalire quasi al motore della creazione artistica, provando a capire il punto di rottura e insieme di arrivo tra l’ansia di chi produce e quella dello sconosciuto che ammira e assorbe.

“Ciò che conta è perdersi” scrive Gianvincenzo Cresta nella prefazione, ed è realmente così: l’obiettivo è quello di scovare – e di lasciarsi stupire da – la forza del non detto, la cosa coperta e nascosta, visibile solo all’occhio che si abbandona alla tempesta. Quello di Fiotti è un lavoro che rifugge in ogni modo l’accademismo, e che pone un orizzonte di lettura molto più ampio e profondo: l’analisi (in)conscia del nostro flusso di pensieri quando ci abbandoniamo all’arte, per questo la struttura stessa del saggio sembra farsi contenuto.

   

Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce. Sull’Estetica e la critica letteraria di Giancristiano Desiderio, Aras Edizioni

Giancristiano Desiderio è un esperto e grande interprete dell’opera di Benedetto Croce, e questo non è che il terzo volume della “Vita intellettuale e affettiva di Benedetto Croce”, dedicato questa volta interamente all’”Estetica” e alla critica letteraria. Perché a centoventi anni dalla sua prima pubblicazione ancora discutiamo dell’”Estetica” crociana? Perché non è solo il testo più noto di Croce (per il quale entra di diritto nella storia della filosofia del Novecento) ma è soprattutto "la creazione di quella scienza della vita sensibile-estetica senza la quale l’uomo non è uomo".

In altre parole, basterà concentrarsi sui numerosi parallelismi di Croce tra la storia della poesia e la storia della libertà: era convinto che proprio la comprensione della vita estetica fosse la via privilegiata per accedere al gran castello della filosofia. La “contemporaneità” di Croce (come dice Desiderio) salta fuori ogni volta ce ci parla di poesia, storia e libertà, in un modo così semplice e diretto che ci porta a scoprire la forza della verità umana al di fuori di mode e accademie.

Questo è lo scopo del saggio di Giancristiano Desiderio: un’esposizione semplice – e senza pretesa di completezza – del pensiero estetico di Croce e della sua sempre attuale rivoluzionarietà.

 

Goffredo Parise, i sentimenti elementari di Lucia Rodler, Carocci Editore

Narratore anticonformista e giornalista contrario alle ideologie, Lucia Rodler compie un’operazione esaustiva per raccontare Goffredo Parise, uomo dalla personalità tagliente e molto ben definita: il suo è un ritratto completo e pressoché esaustivo, che parte dai romanzi visionari dei primi anni Cinquanta arrivando a quelli che analizzano la complessità delle relazioni umane, in particolare del rapporto uomo-donna.

Straordinario, visionario e fantastico da giovanissimo, realistico e ironico da adulto, ma anche provocatorio e perturbante: Rodler aiuta Parise a venir fuori esattamente come colui che ha cercato di raccontare tutta l’umanità e la disumanità del quotidiano, l’amicizia e la libertà dei sentimenti in mezzo alla distruzione della guerra, e poi le speranze e la solitudine del dopoguerra, le fantasie sessuali di una coppia di cinquantenni. Una scrittura semplice e chiara, di giornalista coraggioso che ha saputo osservare le cose in profondità, che molto ha viaggiato e visto, visitando il mondo con occhio da antropologo.

Il saggio di Lucia Rodler è un ottimo modo per intraprendere la strada che vi porterà alla conoscenza di uno dei più grandi, e purtroppo oggi poco letti, autori del Novecento italiano.

 

In Sardegna con Grazia Deledda. Isola di feste, riti, racconti di Rossana Dedola, Giulio Perrone Editore

"È una giornata fredda di dicembre e dall’alto del monte Ortobene scorgo in lontananza una striscia appena più scura dell’azzurro del cielo e ho l’impressione che il mare si elevi al di sopra della montagna. Proprio da questo punto Grazia Deledda aveva visto per la prima volta il mare". Inizia così il viaggio di Rossana Dedola – narrativo, letterario e fisico – attraverso le asperità e le bellezze di un’isola che non può non essere vista e raccontata attraverso lo sguardo del suo Premio Nobel, Grazia Deledda. I monti, le alture, gli occhi rivolti al mare, il vento costante, quel desiderio di abbandono e solitudine, non sono solo caratteristiche della Sardegna, ma diventano qualcosa di più: sono le suggestioni racchiuse ne “La madre”, i punti di rottura che troviamo in “Cenere”, la potenza erotica e delittuosa de “L’edera”. La Sardegna, che Grazia Deledda – pur mascherando il nome di qualche paese – ha narrato con una ricchezza di particolari impressionante, è impregnata della sua Letteratura, del suo sguardo ficcante e onesto, ma soprattutto privo di salvezza.

La modernità dell’isola si fa ancora carico dei tesori della Sardegna arcaica, e Dedola ce li racconta: il monte Gonare, la visita ai santuari dove ancora oggi si svolgono feste religiose antiche, l’incontro con i pastori o con le loro figlie, e poi il racconto di un archeologo davanti a una tomba dei giganti.

Il presente spinge sul passato e il passato si appropria del presente: il viaggio di Rossana Dedola non è prezioso soltanto dal punto di vista letterario, ma anche da quello antropologico e geografico.

 

Fughe e rincorse. Ancora sul Novecento di Massimo Onofri, Inschibboleth

"Che secolo è stato, in prosa, il Novecento nazionale?": questa è la grande domanda con cui prende avvio il volume di Massimo Onofri – uno fra i più preziosi a mio avviso, ma di certo non l’unico – che raccoglie saggi illuminanti su Grazia Deledda (“Sardinia Deledda est?”, basterebbe solo il titolo a lasciarcelo amare), Corrado Alvaro, Mario Soldati, Elsa Morante, Carlo Cassola, e via discorrendo. L’intento, come si diceva all’inizio, è quello di verificare – all’interno dell’area del genere romanzo, che in Italia nel Novecento non ha attecchito con forza come in altre parti del mondo – se esiste, di fatto, una qualità oggettiva di alcune importanti esperienze.

Facendo riferimento al titolo, le “fughe” sono o quei percorsi "d’una prosa spuria, di statuto plurale, talvolta nutrita di immaginazione saggistica" o, se si tratta di romanzi, quelle esperienze "che hanno complicato il genere letterario dominante nei secoli della modernità, problematizzandolo" (dunque la Deledda nichilista, le distopie di Alvaro, le ambiguità di Soldati, per citarne alcuni).

Se invece guardiamo alle “rincorse” troveremo "tutti quei casi in cui il genere del romanzo si degrada", o illudendosi di reinventarsi come popolare oppure facendosi populista.

In questo grande percorso tematico e critico, alla fine troviamo anche un’appendice assai pregevole, dedicata a Renato Guttuso.

 

Visionari. Briciole critiche su Carlo Dossi di Paolo Albani, Italo Svevo Edizioni

Il modo che ha trovato Albani di raccontare lo scrittore Carlo Dossi, uno degli esponenti più significativi dell’ambiguità e degli eccessi della Scapigliatura, è quanto mai originale: decide di partire da un “fatto”, oserei definirlo così, e cioè l’interesse di Dossi per la figura del “mattoide”, termine coniato da Cesare Lombroso e di cui l’autore lombardo offre una splendida e significativa definizione nel quarto e ultimo capitoletto del suo “I mattòidi al primo concorso pel monumento in Roma a Vittorio Emanuela II (1884).

Proprio il rapporto (anche epistolare, lunghissimo) tra Dossi e il criminologo autore di “L’uomo delinquente” ha dato modo ad Albani di rintracciare uno spiccato interesse del primo per tutto ciò che è insolito o stravagante. Dossi aveva più volte manifestato aperta fiducia nei confronti della scienza, in particolar modo della medicina e della statistica, ma altresì a questo interesse vi affiancava la grande fascinazione per la calaba, le tombe e i cadaveri, e le figure stregonesche (tanto che uno dei suoi migliori amici è l’imbalsamatore Paolo Gorini). Insomma, è da qui che Albani inizia a tratteggiare un curiosissimo profilo di uno dei maggiori studiosi, sul piano strettamente letterario, dell’universo della follia e dei mattòidi.

Un volumetto agile e affascinante di cui non si può fare a meno.

 

Eretiche di Adriana Valerio, Il Mulino

Il popolo delle eretiche, da ieri fino a oggi, è sempre stato piuttosto nutrito, e nel cerchio infernale delle donne ribelli sono confluite sacerdotesse, profetesse, mistiche, streghe, riformatrici, libere pensatrici e false sante, tutte accomunate da un obiettivo: andare in cerca della verità.

La questione che vede protagoniste le donne e l’eresia è molto complessa, e nasce da lontano. Ad esempio, il primo giugno 1310 venne bruciata una giovane filosofa, la beghina di Valenciennes Margherita Porete; poi nel 1524 fu processata e condannata all’ergastolo dall’Inquisizione di Toledo anche la mistica Isabel de la Cruz; ma arriviamo anche al 1912, quando venne messa all’Indice dei libri proibiti – poiché considerata pericolosa – l’opera della “teologhessa inquieta” Antonietta Giacomelli, che intendeva sollecitare una riforma liturgica nella Chiesa.

Adriana Valerio parte da una domanda tanto immediata quanto difficile: come sono state considerate le donne, e come venivano valutate coloro che vivevano la fede da protagoniste prendendo strade discordanti da quelle segnate dai gruppi dominanti? Azioni inaspettate, scosse, equilibri scardinati, sono queste le donne coraggiose e volitive di cui ci racconta l’autrice – ripercorrendo due millenni di storia – e che hanno pagato a caro prezzo le proprie scelte.

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