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Un ricordo

Nell’Italia dei borghi De Mita fu l’intellettuale della Magna Grecia

Gianfranco Rotondi

"La politica si è definitivamente separata dal pensiero”: un ritratto dell'ex premier Dc attraverso i suoi genitori e il paese dell'epoca

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Non si può capire l’intelligenza di Ciriaco De Mita senza aver conosciuto i suoi genitori, don Peppino e donna Antonia De Mita, privilegio ovviamente di pochi, solo in parte anche mio. De Mita era la sintesi del padre, coi suoi giudizi taglienti e l’intelligenza affilatissima, e della madre, una nobildonna apparentemente più amabile e dialogante, in realtà altrettanto ferma e definitiva nelle convinzioni. Il mix genetico di questi due signori spiega meglio di un manuale di biologia il miracolo di una vasta schiatta di figli e nipoti tutti intelligentissimi e di successo. Ciriaco era il fuoriclasse, va senza dire. La famiglia ne fu orgogliosa, ma con autonomia. Io, per dire, ero l’oppositore solitario di re Ciriaco in Irpinia, ma don Peppino mi parlava, perché i De Mita sono così: ognuno ragiona con la propria testa, mai però da solo, sempre nella coltivazione del dubbio e del metodo dell’ascolto, specie delle opinioni opposte. “Quando l’avversario ha torto, aiutalo ad avere ragione”, amava dire Ciriaco De Mita declinando uno dei paradossi della sua oratoria complessa ma affascinante.

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Non si può capire l’intelligenza di Ciriaco De Mita senza aver conosciuto i suoi genitori, don Peppino e donna Antonia De Mita, privilegio ovviamente di pochi, solo in parte anche mio. De Mita era la sintesi del padre, coi suoi giudizi taglienti e l’intelligenza affilatissima, e della madre, una nobildonna apparentemente più amabile e dialogante, in realtà altrettanto ferma e definitiva nelle convinzioni. Il mix genetico di questi due signori spiega meglio di un manuale di biologia il miracolo di una vasta schiatta di figli e nipoti tutti intelligentissimi e di successo. Ciriaco era il fuoriclasse, va senza dire. La famiglia ne fu orgogliosa, ma con autonomia. Io, per dire, ero l’oppositore solitario di re Ciriaco in Irpinia, ma don Peppino mi parlava, perché i De Mita sono così: ognuno ragiona con la propria testa, mai però da solo, sempre nella coltivazione del dubbio e del metodo dell’ascolto, specie delle opinioni opposte. “Quando l’avversario ha torto, aiutalo ad avere ragione”, amava dire Ciriaco De Mita declinando uno dei paradossi della sua oratoria complessa ma affascinante.

 

La sua non era solo la favola bella del figlio del sarto di Nusco che diventa premier. Era qualcosa di più: il sarto di Nusco era parte ed essenza di quella storia, insieme al nonno cieco che De Mita citava nei discorsi in tutto il mondo. Scrivo queste cose perché alla fine mi sembrano più importanti e vere dei discorsi sui patti costituzionali e sul popolarismo. Capire De Mita significa aver conosciuto l’Italia da cui egli proveniva, un paese di borghi in cui gli elettori erano analfabeti, ma si riunivano al bar per vedere i telegiornali, e li commentavano assieme. Questo senso della comunità e dell’Accademia accompagnò De Mita per sempre: per tutti era l’intellettuale della Magna Grecia, secondo la definizione di Gianni Agnelli, che forse voleva offenderlo e invece ne celebrò la superiorità intellettuale. Negli ultimi anni era ossessionato da un cruccio: “Il popolarismo è il solo pensiero uscito vincente dal Novecento”, ripeteva con tutti, “ma non riesce a vincere politicamente”. L’ultima volta che l’ho sentito, in occasione del suo 94esimo compleanno, mi disse che aveva trovato una risposta: “Non c’è un altro pensiero che prevale sul nostro, semplicemente la politica si è definitivamente separata dal pensiero”. Era una riflessione amara, che forse lo ha accompagnato nel rito di congedo di una morte lenta e solenne come quella di un vecchio patriarca.

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