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la mostra

Nft e diritti digitali cambieranno i musei. Parla il direttore della Fondazione Palazzo Strozzi

Maurizio Crippa

Arturo Galansino ha curato la mostra “Let’s Get Digital! - Nft e nuove realtà dell’arte digitale”, insieme a Serena Tabacchi, direttrice del Museo d’arte digitale contemporanea. E spiega come i famigerati "non fungible token" siano qualcosa di più che una bolla o un fenomeno speculativo

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Entrando nel rinascimentale cortile di Palazzo Strozzi a Firenze in questi giorni (e fino al 31 luglio) ci si imbatte nella grande installazione digitale di Refik Anadol, artista turco-statunitense che utilizza come materiali algoritmi e intelligenze artificiali che creano ambienti ipnotici, visioni illusionistiche. Come le opere dell’americano Mike Winkelmann, in arte Beeple, il primo artista digitale a vendere, lo scorso anno, una sua opera per l’equivalente di 69 milioni di dollari in criptovaluta con il sistema degli Ntf, i non fungible token, che è stato tra i primi a utilizzare. L’istallazione di Anadol fa parte della mostra “Let’s Get Digital! - Nft e nuove realtà dell’arte digitale”, che ha innanzitutto una caratteristica: è una delle prime mostre realizzate in Italia, da una istituzione culturale ed espositiva di tipo “tradizionale”, dedicate alla rivoluzione Nft. Arturo Galansino – che della Fondazione Palazzo Strozzi è direttore e ha curato “Let’s Get Digital!” assieme a Serena Tabacchi, direttrice del MoCDA, Museo d’arte digitale contemporanea – spiega per prima cosa che gli Nft “non sono una bolla o un fenomeno speculativo”. Come qualcuno (passatista o solo scarsamente informato?) invece ritiene.

“Il rischio è ovviamente presente – dice – ma ritengo sia ancora presto per parlare di bolla.  Si tratta di un mercato in grande espansione, che ha avuto una forte accelerazione nel periodo della pandemia e nella conseguente rincorsa al digitale”. Gli Ntf non sono, come spesso si pensa, immagini privatizzate da guardarsi sui telefonini, o che una volta acquistate non siano più fruibili da nessuno. Ma certo “stanno modificando il rapporto tra artisti e pubblico, con un nuovo concetto di certificazione e di autenticità, di cui il digitale è il vettore”.

Nel frattempo, a poche centinaia di metri, agli Uffizi è scoppiata una mezza bolla mediatica, che con il mondo nuovo degli Nft ha a che fare. Una circolare del direttore per i Musei del ministero, Massimo Osanna, ha imposto di bloccare accordi o contratti in essere con privati da parte dei musei pubblici per il “controllo e lo sfruttamento” delle immagini digitali di opere d’arte. Qualche giornale ha titolato come se gli Uffizi, novelli Totò, si fossero venduti la Fontana di Trevi. Ovviamente non è così, come ha spiegato  il direttore degli Uffizi, Eike Schmidt, chiarendo che il contratto (sperimentale e del resto ora scaduto) con una azienda italiana per lo sfruttamento digitale del Tondo Doni “era una cosa sostanzialmente diversa dagli Ntf odierni”. E’ stato uno dei primi tentativi da parte di istituzioni museali di sperimentare un nuovo tipo di utilizzo commerciale dei diritti di immagine. Un’evoluzione digitale di quanto già avviene per le riproduzioni numerate, le serigrafie, i diritti fotografici e quant’altro. Va detto che l’esperimento, che ha coinvolto anche altri musei nazionali, era iniziato nel 2017: preistoria, molto prima che il fenomeno Ntf esplodesse.

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Il ministero ora ha messo un freno preventivo, senza intenti punitivi, promettendo di varare a breve un quadro normativo e comportamentale. Necessario e benvenuto, perché il settore degli Ntf e dei diritti di proprietà digitale è così nuovo e complesso che i rischi di illegalità sono possibili. Come ha chiarito anche Schmidt, è “fondamentale informarsi non solo dal punto di vista tecnico, ma anche legale. Certe piattaforme dove si registra la proprietà possono non dare garanzie sufficienti”. E’ quindi importante, spiegano dal museo fiorentino, non solo avere regole ma anche un quadro preciso in cui muoversi.

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Perché, e questo è ugualmente certo, il mondo dell’arte sta cambiando ed è vietato rimanerne indietro, anche per le istituzioni tradizionali. Dice Galansino: “Non sono un reale esperto del mercato dell’arte, quindi non è il mio ruolo dare consigli o indicazioni in merito. Quello di cui sono certo è che il fenomeno degli Nft sia qualcosa di nuovo che ancora non ha espresso totalmente il suo potenziale. Il mercato più tradizionale dell’arte se ne è già accorto, tanto che le più importanti case d’asta e gallerie del mondo stanno già operando rendendo questi processi parte dei meccanismi più classici di vendita”.

E’ ovvio che questo vale soprattutto per le opere native digitali o in generale per l’arte contemporanea – Jeff Koons, per fare un nome celeberrimo – mentre per lo sfruttamento di opere già esistenti, e di proprietà pubblica, le regole sono da creare. Ma sarebbe assurdo negare l’interesse di questa evoluzione, e infatti dal Mic arriva un segnale di attenzione positiva. Conclude Galansino: “Dal mio punto di vista non penso che Nft e opere tradizionali siano da considerarsi in opposizione, bensì come complementari. Gli Nft sono un nuovo prodotto, non un’alternativa, qualcosa che va a sostituire altro. Molti collezionisti ‘tradizionali' si stanno affacciando anche al mercato delle opere Nft e mi auguro che viceversa i nuovi collezionisti della criptoarte si possano sempre più avvicinare al mondo più tradizionale dell’arte”.

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