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1931-2022

Le qualità straordinarie di Piergiorgio Bellocchio, un moralista che ha vissuto per conto suo

Adriano Sofri

Si sapeva dove fosse, a Piacenza, se non altro per il ricordo dei Quaderni. Il carattere distintivo di non essere ruffiani

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Piergiorgio Bellocchio ha avuto qualità straordinarie e nonostante questo ha vissuto per conto suo. Scrisse qui il suo Alfonso Berardinelli: “Cosa faccia Piergiorgio sembra un mistero. Tutti fanno o sembrano fare qualcosa, molte cose. Si esprimono, si manifestano, pubblicano libri, scrivono sui giornali, ricevono premi… Piergiorgio non appare, non compare. Ma negli ultimi tempi anche la fatidica domanda ‘che cosa fa Piergiorgio’ non risuona più. Da anni è del tutto fuori gioco”.

   
Si sapeva dove fosse, a Piacenza, se non altro per il ricordo dei Quaderni, ma di quanto si sentisse debitore alla sua città aveva detto, in una rara e bella intervista recente: “Niente. I ‘Quaderni piacentini’ decisi di chiamarli così per modestia, ma vendevano di più a Rimini che a Piacenza. No, nulla. Senza rancore”.

   
In quella intervista, a Giammarco Aimi per Linkiesta, fece un elogio forte di Pasolini: “Era una persona straordinariamente intelligente, capace e sensibile. Le ceneri di Gramsci è un poemetto straordinario su un capitolo decisivo della nostra storia… Il miglior Pasolini è il commentatore e il recensore. La Neoavanguardia lo detestava perché legato al mondo contadino, arretrato, come me, ma l’incanaglimento e l’abbassamento culturale li aveva visti prima di tutti”. Non lo cito per smentire la fama di stroncatore, ma perché Bellocchio completava quel giudizio con un’osservazione di psicologia comune, quasi distratta: “Poi anche a lui il successo non è dispiaciuto, ma non puoi accusare qualcuno di essere vanitoso. Lo siamo tutti se ce ne danno motivo”. La si può leggere meno ovviamente, autorizzati da quella prima persona sia pure plurale, “Lo siamo tutti”. Come se dicesse: A me non ne hanno dato motivo, e perciò me ne sto altrove, scomparso.  

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Non è così, credo. È Piergiorgio stesso a impedire questa lettura, quando ridimensiona la reputazione di stroncatore e ne ripudia qualche compiacimento proprio e altrui – i “Libri da non leggere” – e rivendica in cambio risolutamente, a sé e anche al resto dei Bellocchio, il carattere distintivo di non essere ruffiani. “Nella famiglia Bellocchio non ci sono ruffiani. E’ un atteggiamento a me ignoto”. E’ difficile e probabilmente impossibile ormai, nel mondo com’è fatto oggi, non essere ruffiani per costituzione e per coerenza, o magari per pigrizia e, a scanso della solennità, perché “non ce ne hanno dato motivo”, e insieme tenere una posizione di spicco nella vita pubblica. Luca Baranelli, che ne scrisse un ritratto raccolto insieme a quelli di altri “Compagni e maestri”, ricordò il giudizio di Sebastiano Timpanaro, che “considerava Piergiorgio Bellocchio uno scrittore eccellente; gli diceva, e diceva agli amici comuni, che avrebbe dovuto scrivere di più, che era l’unico moralista che valesse la pena di leggere in Italia”. Sembrerebbe un’iperbole, nel paese in cui i moralisti fanno ressa, e qualcuno merita comunque d’esser letto: ma rarissima e quasi unica è la figura di un moralista cui è “ignoto” un atteggiamento ruffiano. Non è questione di coraggio, del resto, se non quando i tempi si facciano di ferro. In tempi che, vicini a finire, si devono archiviare come ordinari, Pier Paolo Pasolini è morto ammazzato che aveva 53 anni, e Piergiorgio Bellocchio a casa sua, novantenne.

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Ho scritto alla prima riga che Piergiorgio ha avuto qualità straordinarie e nonostante questo ha vissuto per conto suo. Scrivo all’ultima che ha avuto qualità straordinarie e per questo ha vissuto per conto suo.  
 

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