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nuove uscite

In cerca del proprio brivido preferito nell’antologia “Natale con i fantasmi”

Marco Archetti

La letteratura del soprannaturale rivive nel nuovo volume edito da Neri Pozza: una selezione di otto racconti pervasi dal sinistro e dal macabro

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Nelle storie di fantasmi è sempre vigilia di Natale perché “la vigilia di Natale è la gran nottata di gala dei fantasmi”. L’ha detto Jerome K. Jerome in Storie di fantasmi per il dopocena, irresistibile librino che offre una magnifica descrizione dei preparativi per la “gran parata della notte di Natale”, attesa con impazienza dai fantasmi per tutto l’anno: eccoli in gran subbuglio a riprovare davanti allo specchio i ghigni demoniaci e i lamenti più sordi, eccoli presi dall’apertura degli armadi per rispolverare – ma forse non è il termine giusto – catene arrugginite e pugnali insanguinati o per far prendere aria ai sudari e ai lenzuoli in disuso dall’anno precedente. Poi, dopo l’annuale esercizio di turbamento della quiete dei mortali, eccoli in balia di atroci emicranie per almeno una settimana, hangover per tutta quella pazza gioia di tramestare, apparire e ululare.

Ammettiamolo: tutto risaputo o quasi. Si ripetono i clangori e le case stregate, poche le varianti sul tema e irriformabili gli schemi, come sempre quando il genere comanda. Eppure a quella nottata di gala è impossibile resistere, e di fronte a una raccolta natalizia di racconti di fantasmi anche il lettore più smaliziato e sopraccigliuto, per un attimo sbircerà il volumetto e sentirà, dentro, il risveglio del bambino che vuole avere paura e che smania per leggerle o ascoltarle, quelle vecchie storie vecchie. Chi non ricorda, con un brivido lungo la schiena, l’incipit de Il giro di vite? Ma la faccenda è anche più vasta, perché il potere delle storie di fantasmi agisce anche quando la qualità letteraria non è quella di James o della Warton (a sua firma, un’altra consigliatissima raccolta).

Neri Pozza lo sa, e manda in libreria questo Natale con i fantasmi (237 pp., 18 euro), in origine pubblicato da Sphere Books, antologia che ha il pregio di essere composta da racconti di autori contemporanei dediti alla letteratura del soprannaturale, tutti già pubblicati in Italia. Menu vario, esiti molteplici, alcuni picchi. Bridget Collins, per esempio: apre il volume e ci racconta una novella degli scacchi, il cui protagonista, mister Morton, prende in affitto una casa munita di giardino e di alberi potati a forma di torri, cavalli, alfieri e pedoni – l’agente immobiliare, alla richiesta di locazione, gliela molla in quattro e quattr’otto, e Morton dovrà giocare una partita che avrebbe fatto rabbrividire anche Ingmar Bergman.
Imogen Hermes Gowar consegna il racconto, forse, di maggiore qualità letteraria: la storia di una donna che fugge da un marito violento insieme al figlioletto e a un padre più che padrone (le dice che deve sopportare le violenze perché è così che va, e lei non è speciale, punto) e che si ritroverà faccia a faccia con lo spettro di un destino familiare – perché a volte ritornano, e sempre per farci scontare qualcosa. “Keita Mori ricordava il futuro, e a voler essere sincero – gli accadeva di rado –, non gli piaceva.” Natasha Pulley va più sul sofisticato, tra chiaroveggenza e viaggi della mente.

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Così, tra percezioni ultraterrene, cadenti ville vittoriane, sinistri scricchiolii e tutto l’armamentario tipico, si vola fino all’ultima pagina, magari accompagnando Walter Pemble, fotografo commemorativo, cui Lily Wilt, “la bella addormentata per sempre”, chiede di tornare in vita, o trasferendosi nella campagna dello Shropshire con le confessioni di Catherine Blake, isolata “nella stanza carminio” causa psicosi, nel raggelante racconto di Kiran Millwood Hargrave.

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Ognuno troverà il suo racconto, il suo spettro, la sua ombra incombente. La chiave dei nostri brividi preferiti ce la offre la protagonista del racconto L’inquilina di casa Thwaite quando, nottetempo, avverte dei passi dietro la porta. Fuori, tuoni e lampi. Lei è pietrificata. Poi si fa coraggio e la apre di colpo. Ovviamente non c’è nessuno. E ovviamente è quello il momento in cui rischia davvero di impazzire. “Peggio della presenza di qualcuno” – pensa, e ci rivela – “solo la sua assenza”.
 

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