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Il letto, crocevia di seduzioni e di piaceri solitari. A partire dalla lettura

Marco Archetti

La scorribanda storica di Mario Baudino su una “scena dell’io”

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"Deplorazione sopra tutti coloro che si coricano e si alzano con un libro in mano, che ci si siedono a tavola, lo tengono accanto a sé sul posto di lavoro, lo portano a passeggio e non sanno più separarsi dalla lettura finché non l’hanno terminata. Nessun patito del tabacco, del caffè, del vino o del gioco può essere così attaccato alla sua pipa, al tavolo da caffè o da gioco e alla sua bottiglia come alcuni affamati di libri alle loro continue letture”. 

   
Bene, abbiamo le prove: c’è stato eccome, un periodo aureo per la lettura. C’è stata eccome, un’epoca irripetibile e famelica, gioiosa di trasgressione e di scoperta, in cui leggere era vizioso e fraudolento, promettente e lascivo – il virgolettato riporta una testimonianza di un allarmatissimo sacerdote di Erfurt, secolo XVIII – e Mario Baudino, con “Il teatro del letto - Storie notturne tra libri, eroi, fantasmi e donne fatali” (La nave di Teseo, 242 pp.,  16 euro) ce ne racconta, con dovizia, ilari dettagli. Ricchissima storiografia dell’elemento domestico che più ha a che fare con l’uomo, il saggio di Baudino parla di lettura coricata solamente nei capitoli centrali (tra i più divertenti, di un testo che diverte sempre molto) e in tutti i restanti, come da titolo, si dà a una traiettoria lunga, di indagine sul significato che è spettato al letto nella vicenda umana, raccontandone tutte le evoluzioni e l’indubitabile, mai smentita centralità.

 

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Il letto, infatti, nei secoli è stato tutto: simbolo di potere e di ospitalità, luogo di morte e di intimità, crocevia di seduzioni e di piaceri solitari, di maestose ostentazioni e oscure dissimulazioni. Quando il libro lo incontrò, tra i molti significati il letto assunse anche quello di esecrabile guscio di tutti gli ozi intellettuali. Certo gli inizi furono ergonomicamente complicati – nel IV o V secolo non doveva essere agevolissimo portarsi a letto un tomo, giacché il volumen, cioè il rotolo di pergamena, non era stato completamente sostituito dal codex, padre del formato che tutt’oggi utilizziamo, decisamente più adatto alla consultazione supina – ma non appena l’abitudine, pur scomoda, prese piede, fu subito crociata: la storia della lettura a letto dovette affrontare ogni sorta di contrarietà e vituperazioni che la resero densa di attrattive.

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Fu nel 1716 che venne ufficialmente bollata come malattia del corpo e dello spirito, in quanto suggeritrice di dissoluti abbandoni. Ne parlò un anonimo pubblicato in Inghilterra, un saggio dal verbosissimo titolo “Onania, ovvero la malattia odiosa dell’autopolluzione e tutte le sue conseguenze in entrambi i sessi, trattati con consigli spirituali e fisici a quelli che hanno già offeso se stessi con questa abominevole pratica”. Thomas Laqueur, nel suo “Storia culturale della masturbazione”, ribadirà il nesso, contribuendo a far scattare l’allarme tra i medici e le personalità del tempo: per Rousseau – “giammai una fanciulla casta ha letto romanzi” scriveva nella “Nuova Eloisa” – romanzo e pornografia erano l’uno il modello dell’altra, e il letto la sentina in cui si consumava l’osceno connubio.

    
Il libro di Baudino si intrattiene volentieri sul tema, ma poi è molto più vasto, serpeggiante, colto, impetuosamente discorsivo, e parla del mondo e della Storia, di Potere, Morte ed Erotismo, e di come il letto non sia mai stato luogo statico, ma vero protagonista di una continua evoluzione di significati. La storia dell’uomo è la storia del suo letto, la storia della letteratura non ne può prescindere, le ritualità della politica non gli sono mai state estranee: il letto è il luogo in cui si assicurava il lignaggio, nel Medioevo i nobili amministravano il feudo da coricati, dal Quattrocento vi si riceveranno anche gli ospiti (più grande il letto, più grande il potere di chi lo occupava). Insomma, il letto è, eternamente, “una scena dell’io” – tregua e battaglia, tortura e oblio, sogno e incubo di un uomo che, da sdraiato, dal primo all’ultimo giorno, recita da sempre le proprie farse e le proprie tragedie.
 

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