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Poesia e memoria

A colloquio con il Pulitzer Peter Balakian, dal genocidio armeno all'11 settembre

Alberto Fraccacreta

Il poeta statunitense, di origine armena, ha vinto il premio nel 2016 grazie a Ozone Journal. Il racconto di una carriera divisa tra scrittura e giornalismo

Un procedimento tipico della poesia è la stratificazione dell’esperienza. Molti eventi si affollano in un solo verso e il risultato è un reticolo di figure che costringe il lettore alla scomposizione dei singoli passi, mai uguali alla loro somma. Questo incremento di rimandi è ben presente nell’opera del poeta statunitense di origine armena Peter Balakian, vincitore nel 2016 del premio Pulitzer grazie a Ozone Journal. I fantasmi della guerra e l’argentino scorrere dell’Eufrate s’intrecciano al flashback dell’America anni 80 invischiata in una crisi morale. Docente alla Colgate University di New York, Balakian ha pubblicato sette sillogi e svariati volumi di critica letteraria. “Siamo bombardati da lunghe sequenze di immagini sconvolgenti”, dichiara al Foglio l’autore classe ’51. “Ho iniziato a pensarci nel dicembre del 1988 quando ho visto il Pan Am 103 esplodere nel cielo scozzese, o una regione dell’Armenia che scompare in pochi minuti tra macerie e cadaveri a causa del terremoto di Spitak. Le immagini riprodotte in maniera martellante sullo schermo hanno modificato irreversibilmente il meccanismo con cui funziona il nostro cervello. Nel ventunesimo secolo è aumentata la possibilità di descrivere realtà mutevoli in collisione. È qui che ho cominciato a parlare di ‘scrittura orizzontale’, cioè di un tipo di poesia che potesse dispiegarsi in modi sorprendenti, discordi ma ancora collegati a un centro, come la lirica metafisica di Donne, Marvell e Herbert”. 

Balakian si è occupato delle conseguenze sociali dell’11 settembre nella raccolta Ziggurat. “La distruzione delle Torri gemelle ha creato un senso di vulnerabilità negli americani che si sono resi conto di non essere al sicuro dalla violenza terroristica. Ho lavorato al World Trade Center nei primi anni 70, quindi ho avuto un legame personale con i favolosi grattacieli del tardo modernismo. I poeti possono catturare una traccia di ciò che è accaduto, sperando di svelare un po’ di verità”. È quello che prova a ottenere Ozone Journal con la vicenda armena, di cui il prozio Grigoris, vescovo della Chiesa apostolica, è stato insigne memorialista. “Nel 2009 – prosegue Balakian – ho accompagnato la troupe di ‘60 Minutes TV’, guidata dal grande giornalista Bob Simon, nel deserto della Siria orientale per esplorare un sito del genocidio armeno. La Cbs ha mandato in onda una parte delle riprese nel febbraio 2010. L’esperienza è stata la base del libro. Ma Ozone Journal riassume altri traumi storici e culturali: l’epidemia di Aids e l’emergere della crisi climatica”. Tra i precedenti letterari spicca I quaranta giorni del Mussa Dagh di Franz Werfel. “Quel romanzo, scritto nel ’33, era anche un avvertimento per gli ebrei europei affinché fossero consapevoli di ciò che il nuovo movimento nazista avrebbe cercato di fare loro. E Werfel, che era in cima alla lista dei nazisti, fuggì dall’Europa per un soffio e arrivò negli Stati Uniti”. 

Il lavoro di Balakian si sforza di ricordare che “uomini e donne, caduti in atrocità di massa, quali l’Olocausto e il genocidio del Ruanda, non vanno mai alla morte come pecore, ma tentano eroicamente di resistere”. Questo perché il rischio dell’oblio è sempre dietro l’angolo. “In quanto esseri umani, abbiamo una forte propensione a fuggire da episodi tragici. Ma dobbiamo studiare tali eventi per molte ragioni. La memoria storica è una questione morale. Non dimentichiamo che Hitler disse ai suoi consiglieri militari alla vigilia dell’invasione della Polonia: ‘Chi oggi, dopotutto, parla dell’annientamento degli armeni?’ Erano passati meno di venticinque anni. La memoria storica è una cosa importante per ogni democrazia che vuole rimanere in salute”. E in tal senso la letteratura dimostra una sua valenza politica ed esistenziale. “Le poesie ci raccontano chi siamo e ci riportano sempre alle origini dell’espressione lirica, nella preghiera e nel canto. Il rock, il blues e il jazz sono un tratto essenziale della cultura americana. Ma la poesia rimane il fondamento. Essa è impegnativa perché chiede al lettore di rallentare, di prendersi del tempo, di decifrare il linguaggio e la musica delle parole”. Per marzo 2022 è previsto il nuovo libro di Balakian, No Sign, edito da University of Chicago Press. “Racconta la lotta con le realtà politiche nazionali e globali, comprese le sfide per la specie umana nella trasmutazione planetaria e l’impatto della violenza di massa sul sé e sulla società. Ci sono inoltre la storia geologica della Terra e i cambiamenti ambientali, il film Hiroshima Mon Amour, la guerra in Vietnam, un incontro visionario sul George Washington Bridge e, spero anche, il potere duraturo dell’amore”.

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