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Pier Alberto Bertazzi e quel ciclostilato chiamato Comunione e liberazione

Ubaldo Casotto

È morto il padre della sigla ciellina, nata come opuscolo studentesco e culminata nel movimento cattolico di Giussani

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A lungo il Foglio ha pubblicato una rubrica – Vite parallele – nella quale la penna e l’arte nella sintesi di Sandro Fusina accostavano figure note a personaggi sconosciuti ai più. Li univa, oltre alla morte, la grandezza della vita, o di un momento di essa. Oggi, 15 settembre 2021, mentre stavo leggendo queste parole: il carisma è “una determinata forma di tempo e di spazio, che abilita a un certo modo di affrontare l’Avvenimento di Cristo, e lo rende più comprensibile, più persuasivo e più pedagogico”, mi è arrivata la notizia della morte di Pier Alberto Bertazzi. Non è un nome noto alle cronache, ma credo che se Fusina l’avesse conosciuto, ne scriverebbe da par suo. Perché Bertazzi – per via di quel carisma di cui sopra – è stato importante per molte persone e per la storia del nostro paese. Pier Alberto Bertazzi (un grande medico del lavoro, di statura e riconoscimento internazionali, capofila di una scuola di medici del lavoro che ha avuto nell’Università di Milano il suo epicentro) è l’uomo che coniò la sigla Comunione e liberazione.

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A lungo il Foglio ha pubblicato una rubrica – Vite parallele – nella quale la penna e l’arte nella sintesi di Sandro Fusina accostavano figure note a personaggi sconosciuti ai più. Li univa, oltre alla morte, la grandezza della vita, o di un momento di essa. Oggi, 15 settembre 2021, mentre stavo leggendo queste parole: il carisma è “una determinata forma di tempo e di spazio, che abilita a un certo modo di affrontare l’Avvenimento di Cristo, e lo rende più comprensibile, più persuasivo e più pedagogico”, mi è arrivata la notizia della morte di Pier Alberto Bertazzi. Non è un nome noto alle cronache, ma credo che se Fusina l’avesse conosciuto, ne scriverebbe da par suo. Perché Bertazzi – per via di quel carisma di cui sopra – è stato importante per molte persone e per la storia del nostro paese. Pier Alberto Bertazzi (un grande medico del lavoro, di statura e riconoscimento internazionali, capofila di una scuola di medici del lavoro che ha avuto nell’Università di Milano il suo epicentro) è l’uomo che coniò la sigla Comunione e liberazione.

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La sua “invenzione” fu sicuramente un colpo di genio, ma non fu un progetto, semmai la presa di coscienza di un’esperienza di vita. Era il 1969, le università milanesi erano in subbuglio. Quello che restava di Gioventù studentesca, travolta – come gran parte dell’associazionismo cattolico – dal Sessantotto, si dibatteva tra la condivisione del desiderio che animava le proteste studentesche e il fastidio per gli idoli ideologici e la violenza in cui il fiume di quel desiderio sfociava. E’ così che nel novembre 1969 alla Statale di Milano iniziò a circolare un ciclostilato. Lui, Pier Alberto, l’ha raccontata così: “Abbiamo fatto un bollettino chiamandolo Comunione e liberazione. Liberazione era l’esigenza che condividevamo con tutti, la possibilità di raggiungerla noi l’avevamo incontrata e almeno intuita nell’esperienza di comunione. Era per me la conferma che quello che avevo incontrato come passione umana ideale sosteneva la vita, rispondeva alla domanda di giustizia e verità che sentivo. Per molti non era sufficiente, ci voleva un impegno sociale, politico soprattutto. Cioè avere una teoria e una prassi che permettessero di affrontare le contraddizioni della società”. Lui invece – parafrasando ante litteram il Giovanni Paolo II che nel 1980 a una Torino sconvolta dal terrorismo rosso disse: “Cristo c’è e basta per ogni tempo” – titolò il primo di quei bollettini: “Costruire la Chiesa è liberare l’uomo”.

“Mi venne in mente che noi volevamo parlare di due cose: la liberazione, ovvero l’istanza che condividevamo con tutti; e la comunione, ovvero ciò che secondo la nostra esperienza poteva realizzarla. Comunione/liberazione: le due cose a cui tenere”. Più avanti – come racconta la biografia di don Luigi Giussani scritta da Alberto Savorana – gli occhi di Giussani caddero su quel foglio appeso alla porta di una stanza del Centro Péguy di Milano, allora in via Ariosto 16:  ‘Ecco, noi siamo il nome che si sono dati gli universitari – esclamò guardandolo –. Perché comunione è liberazione’”.

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Ho conosciuto Pier Alberto, e con lui nel 1990 organizzai un grande convegno al Palalido di Milano: “La carità è”. Intervennero il cardinale Carlo Maria Martini e don Antonio Mazzi, davanti a migliaia di volontari delle centinaia di opere di carità che ruotavano intorno al mondo della Compagnia delle opere. “E’ una delle cose più belle che abbiamo fatto, ma purtroppo una delle più dimenticate” mi disse due anni fa quando lo vidi per l’ultima volta.  Lo risentii al telefono lo scorso anno, durante la crisi del Tigray in Etiopia, mi chiedeva un aiuto (un contatto al ministero degli Esteri) per evacuare due giovani operatori italiani di un ospedale della zona rimasto isolato. Mi disse: “Telefonami appena sai qualcosa, se non ti rispondo è perché sono in qualche tubo per via di una situazione seria in cui mi trovo. Chiama allora Antonella”. Seppi così della sua malattia.

I due operatori per cui mi chiamò sono membri dei Memores Domini, associazione laicale di uomini e donne che vivono i consigli evangelici (povertà, castità e obbedienza) senza fare voti religiosi, per una libera scelta quotidianamente rinnovata, continuando il loro lavoro. Bertazzi, che tra un mese avrebbe compiuto 76 anni, era uno di loro. Fino a ieri in un modo. Ora per sempre.
 

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