Carlo Calenda (LaPresse) 

alle calende greche

L'idea di Calenda sui musei non è una provocazione: è una valida proposta

Francesco Bonami

L'offerta museale romana è balcanizzata, ed è un male. Semplificare significa togliere potere a chi ha costruito una carriera sulla disorganizzazione, e non per forza cedere alla spazzatura del turismo mordi e fuggi

Non è ben chiaro perché in Italia le sterili provocazioni di tutti i tipi e le misure vengano considerate “proposte” mentre le rare proposte logiche e razionali vengano additate come provocazioni, in particolare quando tali proposte sono legate a un disegno politico ed elettorale.

Una proposta razionale dipinta come una provocazione è quella esposta dal candidato sindaco di Roma Carlo Calenda. Mettere sotto un solo capello, al Campidoglio, un gruppo di collezioni della città adesso dislocate in varie sedi. La razionalità da noi va sempre mano nella mano con l’utopia. Quindi auguriamo subito a Carlo Calenda “good luck!”. Dopodiché “why not?”. Confederare un gruppo di musei in modo da offrire al visitatore un’esperienza della storia di Roma non balcanizzata è una bella idea. I musei li fanno gli storici dell’arte ma poi chi ne deve usufruire sono spesso persone curiose ma non esperte, persone che magari hanno a disposizione un tempo limitato e che volendo fare un’esperienza il più ricca possibile di una città immensa come Roma vorrebbero farla magari il più approfondita possibile e senza uscirne stremati.

Mettere assieme istituzioni diverse significa, per quanto complicato possa essere, paradossalmente semplificare. Semplificare significa organizzare l’amministrazione e la gestione in modo più lineare. Organizzare significa togliere potere a chi di solito ha costruito una carriera sulla disorganizzazione, ai talebani del decreto legge o della costituzione, sacra, ci mancherebbe, ma magari non aggiornatissima. La cultura di una città è un insieme di storie. Le storie bisogna saperle raccontare e tradurle. Le storie e la storia vanno tutelate ma bisogna ricordarsi che chi le ascolta non è sempre lo stesso. Un tempo c’era Goethe che la storia se la raccontava da solo, oggi ci sono milioni di persone affascinate dalla storia ma alle quali va raccontata in modo diverso, nuovo, forse un po’ più conciso. L’attenzione, ci piaccia o meno, non è più quella di Goethe.

Attorno alla proposta di Calenda si è scatenata la solita commedia dell’arte con le solite maschere nei ruoli deputati. Tomaso Montanari dice che non va bene: così come sono, i musei riflettono una polifonia ricca e complessa della storia della città. Ma polifonia in Italia equivale a “casino”. Sono polifonici anche i dibatti in tv dove la gente urla e non si capisce un bel niente. È polifonico anche il tifo di uno stadio. Montanari è ultrà dei beni culturali. È vero, comune e Vaticano raccontano la stessa storia da punti di vista diversi, un po’ come nel film di Robert Altman “Short Cuts” del 1993, “America oggi” in italiano. Ma i vari punti di vista del film si vedono nello stesso cinema sullo stesso schermo e per questo alla fine hanno un senso.

Calenda è pratico, immagino. Si chiede “ma chi diavolo ha oggi il tempo e purtroppo anche la voglia di smazzarsi quattro musei diversi quando viene a Roma magari per 48 ore?”. Per Montanari, immagino, questo ragionamento è orripilante. “Si prendano una settimana di ferie in più se hanno tanta voglia di conoscere meglio la storia multiforme di Roma”. “Short Cuts” durava 187 minuti. Non poco. Ma se uno doveva cambiare anche solo sala e non addirittura cinema, gli ci sarebbero volute cinque o sei ore. I 6,1 milioni di dollari fatti al botteghino sarebbero stati molti meno. Un amministratore e un sindaco in particolare deve tutelare il patrimonio culturale  della città che andrà a governare, ma anche deve tutelare la qualità del tempo dei propri clienti, cittadini e visitatori temporanei. Non farlo significa consegnare la cultura permanente di una città alla cultura impermanente, spesso simile alla spazzatura, del mordi e fuggi. L’assassinio di Cesare in 3D: “Bruto sembrava vivo e Cesare davvero morto”.

Al coro pro e contro Calenda non poteva mancare Vittorio Sgarbi tutt’altro che sorprendentemente a favore. Con la propria utopica immaginazione, più fervida di quella di Calenda, si è visto a capo di questo nuovo polo romano e come ogni buon ateo che si rispetti si è fatto il segno della croce per la regola del “non si sa mai”. Calenda comunque ha coraggio, se non forse da vendere, sicuramente abbastanza su cui investire. L’idea su carta funziona. In pratica temo, mi scuso per il gioco di parole di bassa lega, che i risultati si vedranno alle “calende greche”.

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