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Il miracolo dopo il disastro, un romanzo che è una lezione per il nostro mondo

Francesca Pellas

L'intuizione nata sull'autobus: un bambino salvato dagli squali. Da lì comincia una storia kama'aina che Barack Obama in persona ha inserito tra i suoi libri preferiti del 2020. Parla lo scrittore hawaiano Kawai Strong Washburn

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Nel nostro immaginario le storie narrate all’indomani di un evento sconvolgente hanno sempre origine da un disastro. La strada di Cormac McCarthy e il suo mondo post apocalittico, Hereafter con lo tsunami nell’Oceano Indiano: abbiamo molti esempi di racconti ambientati in un tempo che in inglese si chiama “aftermath”, ed è la vita dopo quel qualcosa. Ma se il punto di partenza, anziché una catastrofe, fosse un miracolo? E’ quello che succede in Squali al tempo dei salvatori, romanzo d’esordio dello scrittore hawaiano Kawai Strong Washburn, appena uscito per E/o nella traduzione di Martina Testa. Al centro c’è Nainoa, un bambino caduto in mare e portato in salvo dagli squali. I suoi genitori lo credono destinato a grandi cose, a un’esistenza da guaritore, da santone, solo che Nainoa non è stato scelto per vivere una vita immensa, bensì per fare da tramite a qualcosa di più grande. “Pensavo che il libro parlasse di una famiglia e di un miracolo, poi ho capito che stavo scrivendo della mia terra e di un’intera epoca”, dice Washburn al Foglio.

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Nel nostro immaginario le storie narrate all’indomani di un evento sconvolgente hanno sempre origine da un disastro. La strada di Cormac McCarthy e il suo mondo post apocalittico, Hereafter con lo tsunami nell’Oceano Indiano: abbiamo molti esempi di racconti ambientati in un tempo che in inglese si chiama “aftermath”, ed è la vita dopo quel qualcosa. Ma se il punto di partenza, anziché una catastrofe, fosse un miracolo? E’ quello che succede in Squali al tempo dei salvatori, romanzo d’esordio dello scrittore hawaiano Kawai Strong Washburn, appena uscito per E/o nella traduzione di Martina Testa. Al centro c’è Nainoa, un bambino caduto in mare e portato in salvo dagli squali. I suoi genitori lo credono destinato a grandi cose, a un’esistenza da guaritore, da santone, solo che Nainoa non è stato scelto per vivere una vita immensa, bensì per fare da tramite a qualcosa di più grande. “Pensavo che il libro parlasse di una famiglia e di un miracolo, poi ho capito che stavo scrivendo della mia terra e di un’intera epoca”, dice Washburn al Foglio.

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Nel libro si avvicendano le voci di Nainoa, dei genitori, del fratello Dean e della sorella Kaui. “Nainoa si lascia definire dalle aspettative degli altri, non ha mai davvero modo di conoscersi, di capire cosa vuole, perciò alla fine è il personaggio che abbiamo la sensazione di conoscere di meno”. Washburn racconta che la prima immagine che gli è venuta incontro è stata proprio quella di un bambino salvato dagli squali, e che da quel momento ha iniziato a interrogarla per trovarne il filo. Lo faceva nei momenti più disparati: nel tragitto casa-ufficio (è ingegnere informatico), sotto la doccia, mentre lavava i piatti. “Un giorno in autobus ho cominciato a scrivere come un pazzo sul telefono, e nella foga ho quasi saltato la fermata. Avevo trovato la risposta alla domanda: qual è il senso ultimo di questo miracolo?”. Ovvero di una cosa così strabiliante da aprire la porta a tutte le speranze possibili; peccato che poi, invece della gioia tanto attesa, arrivi un grande dolore. Forse le conseguenze dei miracoli non sono felici? “Io sono buddista, e penso spesso a una parabola in cui c’è una famiglia a cui capitano momenti di grande fortuna e sfortuna: il figlio si rompe una gamba e tutti pensano sia sfortuna, ma poi nel villaggio arriva l’esercito per reclutare gli uomini abili alle armi, e la gamba rotta diventa una fortuna. Non possiamo sapere quali saranno le conseguenze di un momento buono o cattivo, forse perché ogni cosa può avere in sé sia il bene sia il male. Nel romanzo, il fraintendimento del miracolo da parte dei genitori fa sì che non capiscano mai veramente gli altri due figli, e mettano sulle spalle di Nainoa un peso troppo grande: tutto questo genera una tragedia. Anche quella tragedia, però, porta a qualcosa di buono, perché i Flores diventano il tramite di una svolta per l’intera comunità”.

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Una svolta agricola, poiché se c’è un luogo in cui le antiche divinità possono manifestarsi per ricordare agli uomini l’importanza del rapporto con la terra, quel luogo sono senz’altro le isole Hawaii, “culla di una civiltà complessa, fiera e avanzata, che prima di venire in contatto con gli europei era straordinariamente fiorente”, spiega Washburn, che nel romanzo mostra anche come vivere alle Hawaii sia per i nativi una sfida dal punto di vista economico. Gli chiedo allora se la pandemia abbia reso la situazione ancora più dura per via dello stop al turismo, o se abbia invece contribuito a dare il via a progetti volti a rafforzare le isole, ad esempio con il rilancio di un’agricoltura sostenibile (come quello di Kaui, sorella del protagonista). “Il Covid ha peggiorato le cose sul breve termine, ma può servire da spinta per il futuro: molti hawaiani stanno sognando in grande e pensando a un’economia locale autosufficiente. Il Kohala Institute, nell’isola su cui sono cresciuto, si pone l’obiettivo di diffondere pratiche agricole tradizionali; il Malama Kauai Program sperimenta un sistema a km zero per le mense delle scuole; la Kauai Island Utility Cooperative è leader nazionale nella creazione di una rete elettrica a emissioni zero. A chi vuole approfondire consiglio sempre un libro intitolato Detours: A decolonial guide to Hawai’i“. Washburn è un kama‘aina, ovvero un “figlio delle Hawaii” nato e cresciuto sulle isole; non è però originario di lì, poiché i genitori vengono dagli Stati Uniti continentali: facendo eco al romanzo si potrebbe dire che i suoi dèi e spiriti sono hawaiani, ma non i suoi antenati, e chissà come queste due parti di lui hanno interagito tra di loro. “Se concepiamo gli dèi non come entità antropomorfe, non come un’entità unica, ma come qualcosa di infinito, allora l’origine delle felicità che mi hanno reso ciò che sono deriva senz’altro dagli dèi delle isole: penso alla cultura in cui ero immerso mentre crescevo, ma anche alla gioia fisica sperimentata giocando nell’oceano da bambino. Il rapporto tra tutto questo e le mie origini ‘di terraferma’ è sfaccettato, poiché le Hawaii sono una realtà protetta per un afroamericano (Washburn è afroamericano per parte di madre, nda), in cui i bianchi sono la minoranza: lasciarle per trasferirmi sul continente da adulto è stato un trauma”.

 

Per fortuna sulla terraferma ha accanto due figli piccoli che gli danno “molto da fare”, e una moglie con cui tutte le sere, messi a letto i bambini, legge un libro ad alta voce. “Temo non esistano segreti per un matrimonio felice, ma a volte mi dico che leggere insieme è il più bel regalo che possiamo farci l’un l’altro”. Parlando con Washburn non si può non nominare il kama‘aina più celebre della nostra epoca: Barack Obama, che ha inserito Squali al tempo dei salvatori nella lista dei suoi libri preferiti del 2020. “Fatico ancora a crederci. La notizia è stata data sui social, e la prima a vederla è stata mia moglie: ha cominciato a correre per casa, ci siamo messi a ballare... Quando ho iniziato il romanzo, dieci anni fa, immaginavo che l’avrei pubblicato con una piccola casa editrice, che l’avrebbero letto in quattro. Quello che è successo va oltre ogni aspettativa. Ma devo ammettere che il 2020, per me come per tanti, è stato un anno difficile: ho attraversato una crisi depressiva e momenti bui, perciò temo di non essermi ancora goduto il fatto di essere in quella lista come avrei voluto. Intanto però ho comprato una cornice”.

 

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