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"Come un Dopoguerra"

Quelli del vaccino e la liberazione dal Covid. Parla l'over 80 Renzo Arbore

La fialetta della salvezza e la ripartenza, e il fatto "che comunque la nostra vita sarà diversa"

Marianna Rizzini

La riscoperta di parole conosciute quando era "bambino della guerra": la disciplina e il sacrificio per non soccombere alla pigrizia da lockdown. I programmi ideati durante l'isolamento. E la riflessione da fare quando "non saremo più sotto giogo, liberi di uscire", sapendo che prima della pandemia "c'è stato un grande momento di confusione collettiva"

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Renzo Arbore ha prenotato ieri il suo vaccino: prima dose il 18 marzo. Avrebbe preferito farlo anche prima, dice: “Avendo ottantatré anni, sai com’è”. D’altronde “Aspettando il vaccino” è anche il nome del suo programma su renzoarborechannel, ideato “per fare di necessità virtù” in attesa del proprio turno immunitario anti-Covid. C’è lui, Arbore, che introduce chicche televisive del passato per sollevare il morale delle truppe fiaccate da un anno di pandemia – vuoi con la clip d’antan di Lillo e Greg intenti a magnificare l’assurdo, e cioè l’invenzione di un fantasmagorico “phon per fare immersioni con i capelli asciutti”, vuoi con l’amico Gigi Proietti, in un video del 2005 in cui Proietti canta una specie di serenata, con mimica facciale da innamorato cui l’amore fa letteralmente saltare gli occhi fuori dalle orbite.

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Renzo Arbore ha prenotato ieri il suo vaccino: prima dose il 18 marzo. Avrebbe preferito farlo anche prima, dice: “Avendo ottantatré anni, sai com’è”. D’altronde “Aspettando il vaccino” è anche il nome del suo programma su renzoarborechannel, ideato “per fare di necessità virtù” in attesa del proprio turno immunitario anti-Covid. C’è lui, Arbore, che introduce chicche televisive del passato per sollevare il morale delle truppe fiaccate da un anno di pandemia – vuoi con la clip d’antan di Lillo e Greg intenti a magnificare l’assurdo, e cioè l’invenzione di un fantasmagorico “phon per fare immersioni con i capelli asciutti”, vuoi con l’amico Gigi Proietti, in un video del 2005 in cui Proietti canta una specie di serenata, con mimica facciale da innamorato cui l’amore fa letteralmente saltare gli occhi fuori dalle orbite.

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E insomma il vaccino è lì, all’orizzonte, vicino (o lontano) sei settimane. E da un lato ci si immagina che questa prospettiva alimenti, in chi ottant’anni li ha compiuti, un senso preventivo di liberazione, dopo l’anno da reclusi o comunque bersagli prioritari dal nemico virus,  allontanati da abitudini, nipoti, lavori, viaggi, frequentazione di varia umanità. Dall’altro chi ottant’anni non li ha compiuti si prefigura, per solidarietà e anche per sottile invidia, scenari da “Cocoon”, il film girato da Ron Howard in cui tre ottuagenari ritrovano l’energia della giovinezza grazie alla misteriosa acqua di una piscina, e si mettono a ballare, corteggiare e bere cocktail, indossando maglie a fantasia tropicale.

  

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Poi c’è, lui, Arbore, che non vorrebbe “sembrare reazionario” nel dire che “per sopravvivere a questo virus, nella vita quotidiana, ci sono voluti intanto sacrificio e disciplina, parole dimenticate”, e che a lui “non è andata poi così male”: “Sono un bambino della guerra, nato nel 1937, e come tutti i bambini della guerra ricordo il freddo, la fame, la noia infernale di quegli anni”. E allora questa “maledetta pandemia, maledetta e fortemente luttuosa”, gli ha fatto rispolverare le antiche doti, ma in contesto più sopportabile: “Sì, è un sacrificio tenere ore e ore la mascherina, non uscire la sera, sedersi al tavolo in quattro. Ma a un certo punto la realtà va affrontata e girata a proprio vantaggio. E io ho messo ordine: tra le cose, nel mio repertorio, nella mente”. Il frutto del primo lockdown sono stati i programmi “50 sorrisi da Napoli”, archivio in pillole della risata napoletana, e “Striminzitic Show”, su Rai 2 (realizzato l’estate scorsa, in un gran “sfilare di guanti e mascherine”, aveva raccontato l’amico e co-conduttore Gegè Telesforo).

 

Poi certo, dice Arbore, “ci sono stati mesi fatti di tutte le cose anomale della pandemia: il fare provviste, il non uscire, il doversi preoccupare dell’età, il dover fare ginnastica in casa – ci vuole la disciplina di cui parlavo”. Disciplina “anche per non abbandonarsi pedissequamente ai desiderata delle regole e non lasciarsi andare alla pigrizia: diciamo che, almeno con la scusa del cane, due passi sotto casa dovevi farli”.  

 

Duro è stato il resto: “La seconda ondata per alcuni aspetti inattesa, i concerti saltati, i colleghi musicisti e i tecnici senza lavoro”. Arbore, che è figlio di medico, pensa “si debba festeggiare la conquista del vaccino in tempi così rapidi”, vista anche l’imminente liberazione “degli amici miei coetanei che da mesi non mettono piede fuori dal portone”. Ma il “nuovo inizio”, la ripartenza salvifica racchiusa nella fialetta, dice Arbore, “ci farà scoprire che la nostra vita è diversa. Anche se non saremo più sotto giogo, storditi dalla tv, ci vorrà molto tempo prima di poter tornare a rivedere le folle per strada o sotto un palco. E però un piccolo vantaggio ci sarà, come nel Dopoguerra, quando gli italiani si sono voluti improvvisamente più bene anche tra avversari politici, e c’erano genitori e nonni comunisti che parlavano bene dei democristiani e viceversa”.

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Poi c’è il lato esistenziale: “Non sottovalutiamo l’effetto collaterale positivo dello stare in casa a rimuginare sul passato e su quello che ci aspetta, costretti a mettere in fila le priorità. Prima di questa pandemia c’è stato un momento di grande confusione mentale collettiva. Forse una riflessione bisogna farla”. 
   

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