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Yasmina Reza ci fa ritornare la voglia di leggere

Mariarosa Mancuso

“Anne-Marie la beltà” ci dà la conferma: “Non siamo noi, sono loro”. Sono loro a scrivere libri che fanno sbadigliare

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I festival sono un luogo di delizie e di rassicurazioni. Quando si svolgevano regolarmente – febbraio Berlino, maggio Cannes, settembre Venezia – servivano da check-up mentale. Dopo mesi trascorsi a cercare film da vedere, rimediando perlopiù titoli mediocri (come a volte capita con le serie che all’assaggio non mettono voglia di andare fino in fondo) e proprio mentre cominciava a farsi strada il pensiero “forse non sono loro, sono io”, ecco sbucare il titolo che ribaltava la situazione. No, sono loro che fanno film noiosi, già visti, girati così così.
   

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I festival sono un luogo di delizie e di rassicurazioni. Quando si svolgevano regolarmente – febbraio Berlino, maggio Cannes, settembre Venezia – servivano da check-up mentale. Dopo mesi trascorsi a cercare film da vedere, rimediando perlopiù titoli mediocri (come a volte capita con le serie che all’assaggio non mettono voglia di andare fino in fondo) e proprio mentre cominciava a farsi strada il pensiero “forse non sono loro, sono io”, ecco sbucare il titolo che ribaltava la situazione. No, sono loro che fanno film noiosi, già visti, girati così così.
   

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Capita anche con i romanzi. Davanti a certe trame deboli con personaggi poco interessanti, e poi altre trame deboli con altri personaggi poco interessanti, ogni tanto viene da pensare “ne abbiamo letti troppi, sarà un po’ colpa nostra”. Poi arriva Yasmina Reza – in questo caso, ma è successo anche con altri – e abbiamo la certezza: “Non siamo noi, sono loro”. Sono loro a scrivere libri che fanno sbadigliare. Appena arriva una brava la svogliatezza vola via. “La protesi di titanio me la metteranno nell’urna dopo la cremazione?”, si domanda Anne-Marie, protagonista di “Anne-Marie la beltà” (Adelphi, come gli altri titoli della meravigliosa penna che ha inventato il gioco al massacro di “Carnage”, Roman Polanski lo ha solo portato al cinema). Ricorda Barney Panofsky, quando pensa che per colpa di un’anca in materiale plastico i verdi gli negheranno la sepoltura, perché non biodegradabile. Un attimo, un colpo d’occhio, una preoccupazione a cui non avevamo mai pensato che di colpo diventa reale.  
     

Settanta pagine appena. Dopo averle lette, l’attrice di provincia Anne-Marie, nata nel nord carbonifero della Francia e scesa fino ai palcoscenici parigini, non ha più segreti per noi. Non perché Yasmina Reza l’abbia descritta. L’ha solo fatta parlare, al funerale appunto dell’amica-rivale Gigi. Come se qualcuno la interrogasse, ma c’è una vaga eco di “Viale del tramonto”: parla da sola e si racconta come se avesse di fronte una folla di giornalisti venuta a intervistarla. Il resto lo mettiamo noi. Avete presente quelle lunghe  e inutili descrizioni, dove lo scrittore si aspetta un applauso a ogni aggettivo? Ecco, qui siamo all’opposto (e peraltro gli aggettivi scarseggiano).
   

Anne-Marie ha fatto solo particine. Gigi ha avuto ruoli di soddisfazione – le regine, e pazze, le puttane, perfino le monache di clausura – “con l’aria di una che non chiede niente”. “Qualche tentativo di languore l’ho fatto pure io”, dice la soccombente agli intervistatori immaginari: “Ma non è mica da tutte fare la languida”. Gigi era “capace di mangiare un solo biscotto”, Anne-Marie ancora si chiede che gusto ci sia, in un solo biscotto.
   

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Neanche la provincia viene descritta per il gusto di farlo. Ma Saint-Sourd – con la sua compagnia teatrale e tutto il resto – è presentissima. Il dottor Olbrecht organizza feste a tema. Per il deserto e i beduini fa arrivare un camion di sabbia e una tenda tutta colorata. Gli ospiti mangiano datteri seduti per terra in salotto. Purtroppo il dottore è stato sostituito da uno nuovo, per lo sconforto di Anne-Marie che non ha nessuna voglia di sentirgli dire, a proposito della sua pressione alta, mai avuta prima: “E’ così, non abbiamo una cosa e il giorno dopo l’abbiamo”. Già le sembra che “arrivate a una certa età, le persone si mettono d’accordo per squagliarsela. Persone che avrebbero dovuto tenerti la mano fino alla fine”.
   

E allora Anne-Marie pensa al palcoscenico, alle lezioni di canto, al marito noiosissimo che raccontava le perizie anti termiti, all’urna funeraria che servirà, protesi o non protesi, perché non si fida né della generosità né dei gusti del figlio. Settanta pagine che per un po’ cancellano le precedenti delusioni, e fanno dimenticare certi scrittori che mai si domandano: “Ma perché sto raccontando tutto questo? E a chi?”. 

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