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Davanti agli abissi dell’uomo

La Shoà, il male assoluto ma anche la profondità del bene. Che cosa significa oggi il Giorno della memoria L’Italia e i conti con il passato, gli ebrei e Israele. Parla Rav Arbib, rabbino capo della Comunità di Milano

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Che significato ha il Giorno della memoria oggi? Ed è sufficiente e necessario dedicare alla memoria della Shoà un giorno all’anno? Ne parliamo, in questo 27 gennaio, con Rav Alfonso Arbib, dal 2005 rabbino capo della Comunità ebraica di Milano. “Ovviamente – dice Rav Arbib – concentrare la memoria in una giornata non ha senso; la memoria deve accompagnarci nella nostra vita ed è un elemento fondamentale nella vita di ogni essere umano. Credo che anche la Memoria della Shoà debba diventare un elemento fondamentale della vita di tutti noi e in particolare del mondo occidentale. Credo però sia utile dedicare al tema una giornata. Un grande Maestro dell’ebraismo, Rav Eliahu Dessler, dice a proposito delle ricorrenze dell’anno ebraico che sono come un viaggio in cui ogni volta ci si ferma in una stazione, fermarsi in quella stazione può essere utile per focalizzare alcuni temi particolari”. Come vede questa giornata, e più in generale la memoria della Shoà, nella realtà italiana? “Credo che l’Italia debba ancora fare i conti con ciò che è avvenuto durate la Seconda guerra mondiale: da una parte ci sono state indubbiamente molte persone che hanno aiutato gli ebrei e a cui dobbiamo eterna gratitudine, dall’altra però c’è stata anche una generale indifferenza e, a volte, anche complicità; si pensi soltanto al fenomeno delle delazioni, cioè di coloro che hanno consegnato ebrei ai nazisti per denaro o per altre motivazioni e si pensi alla generale assuefazione degli italiani alle leggi razziste del ‘38 e a tutti coloro che di queste leggi hanno approfittato: per esempio prendendo il posto dei docenti ebrei nelle cattedre universitarie. Ogni società deve fare i conti con il proprio passato e questo vale anche per l’Italia, non perché gli italiani di oggi siano responsabili di quel passato ma perché ognuno di noi in qualche modo è il frutto di ciò che è avvenuto nelle generazioni precedenti”.

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Che significato ha il Giorno della memoria oggi? Ed è sufficiente e necessario dedicare alla memoria della Shoà un giorno all’anno? Ne parliamo, in questo 27 gennaio, con Rav Alfonso Arbib, dal 2005 rabbino capo della Comunità ebraica di Milano. “Ovviamente – dice Rav Arbib – concentrare la memoria in una giornata non ha senso; la memoria deve accompagnarci nella nostra vita ed è un elemento fondamentale nella vita di ogni essere umano. Credo che anche la Memoria della Shoà debba diventare un elemento fondamentale della vita di tutti noi e in particolare del mondo occidentale. Credo però sia utile dedicare al tema una giornata. Un grande Maestro dell’ebraismo, Rav Eliahu Dessler, dice a proposito delle ricorrenze dell’anno ebraico che sono come un viaggio in cui ogni volta ci si ferma in una stazione, fermarsi in quella stazione può essere utile per focalizzare alcuni temi particolari”. Come vede questa giornata, e più in generale la memoria della Shoà, nella realtà italiana? “Credo che l’Italia debba ancora fare i conti con ciò che è avvenuto durate la Seconda guerra mondiale: da una parte ci sono state indubbiamente molte persone che hanno aiutato gli ebrei e a cui dobbiamo eterna gratitudine, dall’altra però c’è stata anche una generale indifferenza e, a volte, anche complicità; si pensi soltanto al fenomeno delle delazioni, cioè di coloro che hanno consegnato ebrei ai nazisti per denaro o per altre motivazioni e si pensi alla generale assuefazione degli italiani alle leggi razziste del ‘38 e a tutti coloro che di queste leggi hanno approfittato: per esempio prendendo il posto dei docenti ebrei nelle cattedre universitarie. Ogni società deve fare i conti con il proprio passato e questo vale anche per l’Italia, non perché gli italiani di oggi siano responsabili di quel passato ma perché ognuno di noi in qualche modo è il frutto di ciò che è avvenuto nelle generazioni precedenti”.

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Qual è la riflessione ebraica alla luce di quel disastro che distrusse l’ebraismo europeo? E’ una domanda estremamente difficile: non c’è un’unica riflessione ebraica ma ci sono state molte riflessioni ebraiche. Ci sono problemi che riguardano il nostro rapporto con la religione, con Dio e con gli esseri umani; ci sono stati grandi pensatori ebrei che si sono interrogati drammaticamente su questi problemi. Un rabbino polacco, Rav Kalonimos Kalman Shapira, ha scritto un libro mentre era prigioniero nel ghetto di Varsavia, libro che è stato ritrovato miracolosamente dopo la guerra. Senza la pretesa di voler affrontare seriamente un argomento del genere direi che però la Shoà pone un’enorme domanda sulla natura dell’uomo. Ci pone davanti agli abissi a cui l’essere umano può arrivare, ovviamente agli abissi del male ma anche alla profondità del bene; sto pensando, per esempio, a coloro che hanno rischiato o anche sacrificato la propria vita per salvare altri esseri umani o che sono riusciti anche durante la Shoà a riflettere sulla propria e sulle altrui sofferenze”.

 

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Che cosa rappresenta Israele di fronte a questo buco nero? “Israele ha rappresentato e rappresenta la capacità del popolo ebraico di rinascere dalle ceneri. Gli ebrei sopravvissuti alla Shoà hanno avuto la capacità di non essere annientati dal proprio dolore ma di impegnarsi in un’opera di ricostruzione. Questo vale sia per la creazione dello Stato d’Israele sia per la ricostruzione delle Comunità ebraiche dopo la Seconda guerra mondiale. Non era affatto scontato che ciò succedesse e credo sia stato qualcosa di importante e di straordinario. Israele, però, rappresenta purtroppo anche qualcos’altro: è il bersaglio principale del nuovo antisemitismo che spesso si maschera da antisionismo. Credo che la società europea e l’occidente in generale debbano essere molto vigili in questo campo”. Che cosa si aspetterebbe dalla società civile e dalle altre religioni sulla Shoà? “Mi aspetterei una riflessione sul passato e un’analisi obbiettiva del presente in cui si tenti di individuare le radici dell’antisemitismo che hanno permesso l’insorgere del folle progetto nazista. Senza quelle radici non ci sarebbero state le complicità che hanno reso possibile la Shoà. Uno dei temi più usati dalla propaganda nazista è stato quello del complotto ebraico. quel tema però i nazisti lo hanno ereditato da altri. All’inizio del ’900 è stato scritto un testo classico che ha avuto nefaste conseguenze: ‘I protocolli dei Savi di Sion’, ma in Europa il primo documento storico in cui si parla di complotto ebraico risale al 1144. Credo che su tutto questo sia necessario riflettere”.

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