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Van Gogh il mistico

Elisa Veronica Zucchi

Dipinse la grazia, l’urgente bisogno di religione e di chiarezza, nascosta fra le pieghe degli oggetti più umili

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“Van Gogh non era pazzo. Si è avvicinato al sole, prima cercandolo, poi fuggendone via”. E’ l’incipit di “Van Gogh. L’autobiografia mai scritta” dello storico dell’arte Marco Goldin (La nave di Teseo, 2020, pp. 709), che da vent’anni si dedica allo studio della vita e dell’opera – saldamente intrecciate – del pittore olandese, curandone anche diverse mostre, come quella – ora sospesa, come da dpcm – presso il Centro San Gaetano a Padova. Di che cosa soffrisse van Gogh ancora non si sa con certezza. Probabilmente di epilessia e schizofrenia. Il 30 marzo del 1853 nasce a Zundert, nel Brabante, Vincent Willem van Gogh, precisamente un anno dopo il fratello, anche lui Vincent van Gogh, che purtroppo non vede la luce. Ci sarà anche un terzo Vincent W. van Gogh, suo nipote. “A questo punto non si può non riflettere sul tema di una vita che ne sostituisca una mai nata”, osserva Goldin. E aggiunge: “Non era solo una presenza in luogo di un’assenza, ma anche il caricarsi di un doppio”. Un doppio che percorre sia la vita sia l’opera di van Gogh: tormentato dal dissidio fra vita ed esclusività dell’arte, fra immaginazione e malattia e fra realtà e guarigione, trova conforto nel rapporto simbiotico con il fratello Theo, mercante d’arte e suo mentore. A lui sono indirizzate 658 lettere delle 903 scritte dal pittore.

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“Van Gogh non era pazzo. Si è avvicinato al sole, prima cercandolo, poi fuggendone via”. E’ l’incipit di “Van Gogh. L’autobiografia mai scritta” dello storico dell’arte Marco Goldin (La nave di Teseo, 2020, pp. 709), che da vent’anni si dedica allo studio della vita e dell’opera – saldamente intrecciate – del pittore olandese, curandone anche diverse mostre, come quella – ora sospesa, come da dpcm – presso il Centro San Gaetano a Padova. Di che cosa soffrisse van Gogh ancora non si sa con certezza. Probabilmente di epilessia e schizofrenia. Il 30 marzo del 1853 nasce a Zundert, nel Brabante, Vincent Willem van Gogh, precisamente un anno dopo il fratello, anche lui Vincent van Gogh, che purtroppo non vede la luce. Ci sarà anche un terzo Vincent W. van Gogh, suo nipote. “A questo punto non si può non riflettere sul tema di una vita che ne sostituisca una mai nata”, osserva Goldin. E aggiunge: “Non era solo una presenza in luogo di un’assenza, ma anche il caricarsi di un doppio”. Un doppio che percorre sia la vita sia l’opera di van Gogh: tormentato dal dissidio fra vita ed esclusività dell’arte, fra immaginazione e malattia e fra realtà e guarigione, trova conforto nel rapporto simbiotico con il fratello Theo, mercante d’arte e suo mentore. A lui sono indirizzate 658 lettere delle 903 scritte dal pittore.

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L’“Autobiografia mai scritta” racconta van Gogh facendo costante riferimento alle sue commoventi missive. Le lettere forniscono importanti informazioni, ma quello che più colpisce è la tonalità fortemente emotiva di una scrittura che smuove gli animi e ha una decisa connotazione letteraria. E’ significativo, per esempio, che Antonin Artaud, in “Van Gogh. Il suicidato della società”, paragoni i suoi dipinti a racconti: “E’ riuscito ad appassionare la natura e gli oggetti a tal punto che nemmeno i più favolosi racconti dicono di più sul piano psicologico e drammatico”. La natura, gli uomini e gli oggetti dipinti sono sottratti all’oscurità, sono portati in salvo. A proposito del quadro “La sedia di Gauguin”, Artaud si chiede: “Una candela su una sedia, una poltrona di paglia verde intrecciata, / un libro sulla poltrona, / ed ecco illuminato il dramma. / Chi entrerà? / Sarà Gauguin o un altro fantasma?”. La sedia appare come una reliquia, è una presenza ma, nel contempo, allude a un’altra presenza, mentre il quadro evoca un’assenza, una sorta di ritratto assente, in controluce, come il negativo di una fotografia. Che cosa oscura la visione? Il quadro è due quadri: quello che vediamo e quello che è fuggito. Chi è il fantasma sospeso sulla soglia, che attende di poter entrare? Artaud conclude che non ci sono fantasmi, piuttosto un leitmotiv del dipinto, un “nerbo” capace di rendere la realtà più vera.

 

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Il realismo di van Gogh trae ispirazione dalle tele di Jean-François Millet perché, nel rappresentare la vita contadina, esprime una vicinanza, che è una grazia. Non si usa spesso la parola “grazia” a proposito di van Gogh. Eppure essa vive in quel suo urgente bisogno di religione e di chiarezza, nell’attesa di un sole glorioso, nel giallo, lungo le schiene curve delle “Donne che portano sacchi di carbone”. In “Genio e follia”, il filosofo Karl Jaspers nota: “Van Gogh avrebbe voluto dipingere Cristo, i santi e gli angeli; vi rinunciava perché ciò lo turbava e sceglieva con modestia gli oggetti più umili”. Viandante, girasole, Cristo sofferente, “mito insanguinato” (Bataille), “minatore tra i minatori”, “eroe” (Goldin): ma ascoltate tutte queste voci, di indubbio valore, l’immagine decisiva è quella di van Gogh come mistico. Non solo il suo intento è quello di consolare, ma con Cristo vede e dipinge la profonda pietà che unisce esseri umani e Natura, e che circonda gli oggetti.

 

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