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La nevrosi del presente sempre smanioso di giudicare il passato

Antonio Gurrado

Leggere “L'uomo con la vestaglia rossa” di Julian Barnes, il libro che ha fatto risorgere il dottor Pozzi, medico francese e indiscussa celebrità vissuto a cavallo tra Otto e Novecento 

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Per fortuna nessuno ricordava il dottor Pozzi, ginecologo e chirurgo francese vissuto a cavallo fra Otto e Novecento e, allora, indiscussa celebrità: sia nel bene, tanto che Sarah Bernhardt lo chiamava confidenzialmente “docteur Dieu”, sia nel male, a giudicare dalla caterva di amanti attribuitegli fra pazienti e no, con pesanti strascichi nella vita familiare, moglie disperata, figli impazziti. Ora però che Julian Barnes lo ha fatto risorgere con un magistrale saggio fiorito di digressioni e suggestioni (L’uomo con la vestaglia rossa, Einaudi), si rischia che anche il dottor Pozzi venga portato in ceppi al tribunale del presente vergognoso e spietato, cent’anni dopo la morte causata dagli spari di un cliente insoddisfatto di un intervento malriuscito allo scroto.

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Per fortuna nessuno ricordava il dottor Pozzi, ginecologo e chirurgo francese vissuto a cavallo fra Otto e Novecento e, allora, indiscussa celebrità: sia nel bene, tanto che Sarah Bernhardt lo chiamava confidenzialmente “docteur Dieu”, sia nel male, a giudicare dalla caterva di amanti attribuitegli fra pazienti e no, con pesanti strascichi nella vita familiare, moglie disperata, figli impazziti. Ora però che Julian Barnes lo ha fatto risorgere con un magistrale saggio fiorito di digressioni e suggestioni (L’uomo con la vestaglia rossa, Einaudi), si rischia che anche il dottor Pozzi venga portato in ceppi al tribunale del presente vergognoso e spietato, cent’anni dopo la morte causata dagli spari di un cliente insoddisfatto di un intervento malriuscito allo scroto.

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Sarebbe un processo a un’intera epoca: la fin dè siecle anglo-francese, quella per intenderci di Wilde, Huysmans, Proust e del formidabile Montesquiou, gente sessualmente torbida e moralmente ambigua perché si curava soltanto dello sfolgorare dell’estetica. Sono loro i corifei fatti svettare da Barnes attorno alla figura di Pozzi, che conosceva tutti ed era dappertutto, e la cui storia personale si fonde e si esalta nel contesto. I capi d’accusa sono financo banali. Le amanti di Pozzi erano consenzienti? Non abbiamo prove in contrario. Ciò significa che erano soggiogate dal suo fascino? Probabilmente, era un bell’uomo. Quindi lui le teneva in scacco facendo leva sul proprio ruolo nel rapporto medico-paziente? Chissà. Allora abusava della propria professione, faceva il ginecologo allo scopo di tocchicchiare e sedurre? E i figli fuggiti a cercar fortuna o sprofondati nella depressione o confinati nel ritardo mentale non bastano come testimonianza del morboso e crudele egocentrismo del padre sessuomane e narciso? Sarebbe (sarà) anche un processo al dandismo, che è il contesto entro cui Pozzi ha vissuto e prosperato, e che ha reso quel periodo degno di essere studiato, per quanto sotto l’etichetta vagamente codina di “Decadentismo”. Il dandysmo di Baudelaire, che lo riteneva “l’ultimo bagliore di eroismo in tempo di decadenza”; di Wilde, secondo il quale “le opere d’arte non presentano mai intenzioni di nessun tipo”; di Flaubert, che si comparava a “una lucertola intenta a crogiolarsi al sole della bellezza”; dell’elegantissimo Montesquiou, autonominatosi “sovrano delle cose transitorie” e del volgare, talvolta patetico Jean Lorrain, convinto che “il vizio sia un gusto non condiviso”.

 

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Chi cerca però capi d’accusa in questo libro troverà un egregio difensore nello stesso Barnes, che si fa carico non solo del dottor Pozzi ma di tutta la congerie di eccessivi e stravaganti di genio che lo circondava. “Il passato è il giocattolo del presente”, scrive, “felicemente incapace di rispondere”. Per quanto condannato a ricostruzioni congetturali basate su un numero di documenti sempre inadeguato a riscostruire i dettagli completi degli eventi, il presente presume di saperne di più del passato e anzi si crede capace di cogliere i suoi personaggi celebri “esattamente per quello che sono, mentre arrancano ansiosi lungo il percorso polveroso e sconnesso che li avvicina a noi. E questo è il motivo per cui li capiamo tanto bene, perché in fondo quei morti hanno sempre voluto essere noi”. Per questo i pettegolezzi sul passato hanno successo: sembrano sempre plausibili “perché le abitudini sessuali degli esseri umani sono un mistero, tale però che, una volta risolto, sembra dare risposta anche al mistero più grande della personalità degli uomini”. E il presente, conclude Barnes, è così smanioso di giudicare a posteriori in quanto vittima di “una nevrosi che lo porta a sentirsi superiore al passato, eppure non lo affranca dal fastidioso sospetto che potrebbe non esserlo”. Allora, di fronte alle lacune documentali sul passato, alle sue ambiguità, ai suoi misteri e ai suoi segreti, ci comportiamo come dinanzi al silenzio ostinato del criminale incallito, da condannare senza prove.

 

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