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Il filosofo e gli scacchi

E quel mangiapreti di Voltaire finiva sempre battuto da un padre gesuita

Nino Grasso

Dalle testimonianze coeve risulta che il Patriarca dell’Illuminismo non amasse i giochi, ma facesse decisamente eccezione per gli scacchi. "Li amo, mi appassionano, mi divertono e quella testa di rapa di padre Adam continua a battermi senza alcuna pietà! A tutto c’è un limite!”

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Alla metà del Settecento il primato europeo in campo scacchistico era indiscutibilmente detenuto dalla Francia, potenza egemone, del resto, anche dal punto di vista politico, militare, culturale ed economico. L’inizio dell’ascesa della borghesia, l’urbanizzazione, l’incremento dei luoghi e delle occasioni di socializzazione, gli influssi dell’Illuminismo erano tutti fattori che convergevano nel determinare o accelerare, in Francia più che nel resto d’Europa, e a Parigi più che nel resto della Francia, significativi cambiamenti nella pratica del gioco. Gli scacchi erano sempre meno circoscritti al tradizionale recinto delle mura di corti e castelli, e sempre più diffusi nella nuova realtà delle taverne e dei caffè cittadini; accanto alla storica funzione di elegante passatempo mondano per oziosi aristocratici si andava affermando una nuova dimensione del gioco quale vera e propria attività agonistica, esercitata da un crescente numero di giocatori professionisti, con rituale contorno di scommesse, sfide a pagamento, partite con handicap.

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Alla metà del Settecento il primato europeo in campo scacchistico era indiscutibilmente detenuto dalla Francia, potenza egemone, del resto, anche dal punto di vista politico, militare, culturale ed economico. L’inizio dell’ascesa della borghesia, l’urbanizzazione, l’incremento dei luoghi e delle occasioni di socializzazione, gli influssi dell’Illuminismo erano tutti fattori che convergevano nel determinare o accelerare, in Francia più che nel resto d’Europa, e a Parigi più che nel resto della Francia, significativi cambiamenti nella pratica del gioco. Gli scacchi erano sempre meno circoscritti al tradizionale recinto delle mura di corti e castelli, e sempre più diffusi nella nuova realtà delle taverne e dei caffè cittadini; accanto alla storica funzione di elegante passatempo mondano per oziosi aristocratici si andava affermando una nuova dimensione del gioco quale vera e propria attività agonistica, esercitata da un crescente numero di giocatori professionisti, con rituale contorno di scommesse, sfide a pagamento, partite con handicap.

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Dal canto loro, come potevano gli intellettuali del secolo dei lumi, alfieri della nuova e dirompente idolatria per la ragione, restare insensibili al fascino del gioco “cerebrale” per eccellenza? E infatti i più prestigiosi nomi della cultura del tempo ne furono tutti grandi appassionati e praticanti, a cominciare da Voltaire. Dalle testimonianze coeve risulta che il Patriarca dell’Illuminismo non amasse i giochi, ma facesse decisamente eccezione per gli scacchi, praticandoli frequentemente al Cafè Procope e al Cafè de la Régence, e poi abitualmente nella sua residenza di Ferney. Riferimenti al gioco affiorano qua e là nella sua opera sterminata. Nel Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni, parlando degli Indiani, scrive: “Il gioco che chiamiamo scacchi per corruzione, è stato inventato da loro, e non abbiamo niente che gli si avvicini: è allegorico come le loro favole; è l’immagine della guerra. I nomi shak, che significa principe, e pedone, che significa soldato, si sono conservati ancora in questa parte dell’Oriente”.

 

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Nel 1750 Voltaire prende un’inequivocabile posizione nella disputa tra i sostenitori del teatro lirico francese tradizionale e i fautori delle nuove correnti musicali italiane, ricorrendo a una metafora tranchante: in una lettera da Berlino alla nipote Madame Denis, difendendo la bellezza dei cantanti castrati e la brillantezza delle arie italiane, scrive di aver sempre “paragonato la musica francese alla Dama, e quella italiana agli scacchi”. Nel 1752 la controversia esploderà nella famosa “querelle de bouffons”, che vide opporsi a colpi di libelli le due fazioni, sostenute, rispettivamente, da Rameau e da Rousseau, e questo fu uno dei pochi casi di convergenza tra Voltaire e il rivale filosofo ginevrino. Ed è forse il caso di ricordare che il grande musicista e ancor più grande scacchista Philidor, considerato un caposcuola dagli “italofili”, era amico di entrambi. Nel Dictionnaire philosophique, poi, alla voce “Delle Leggi”, Voltaire ricorre a una riflessione sugli scacchi per la sua feroce polemica anticlericale: “A vergogna degli uomini, si sa che le leggi del gioco sono le sole che dappertutto siano giuste, chiare, inviolabili e osservate. Perché l’indiano che ha dettato le regole del gioco degli scacchi è obbedito di buon grado in tutto il mondo, e invece le decretali dei papi, per esempio, sono ai nostri giorni oggetto di orrore e di disprezzo? Perché l’inventore degli scacchi combinò ogni cosa con esattezza per la soddisfazione dei giocatori, mentre i papi, nelle loro decretali, non mirarono che al loro interesse. L’indiano volle, nello stesso tempo, esercitare l’ingegno degli uomini e procurare loro un divertimento; i papi vollero invece abbrutire lo spirito umano.  Così, da cinquemila anni, le regole fondamentali del gioco degli scacchi sono rimaste immutate e sono comuni a tutti gli uomini della terra mentre le decretali sono osservate soltanto a Spoleto, a Orvieto, a Loreto, dove il più meschino giureconsulto le detesta e le disprezza in segreto”.

 

Orbene, gli scacchi sono certamente uno dei giochi più antichi della storia, se non il più antico in assoluto, ma i “cinquemila anni” buttati lì dal patriarca dei Lumi sono una clamorosa esagerazione, dato che la loro origine viene generalmente fatta risalire più o meno al VI secolo d. C. Curiosamente, comunque, quel mangiapreti di Voltaire ebbe come suo abituale avversario e castigatore scacchistico proprio… un prete, un certo Antoine Adam, padre gesuita di Ornex che, rimasto senza mezzi dopo la soppressione del suo ordine, e non sapendo dove andare, aveva trovato ospitalità presso la vicina residenza di Ferney di Voltaire, ufficialmente con l’incarico di dire messa nella cappella del castello.Forse per la generosità del filosofo? per il suo piacere di stare in compagnia? per una sintonia culturale con il sacerdote? Macché.


Voltaire era avaro, era misantropo e non aveva alcuna stima intellettuale per padre Adam. Il quale, però, sapeva giocare bene a scacchi. O comunque, abbastanza bene da suonarle di santa ragione a Voltaire, che letteralmente non se ne dava pace, fino a lamentarsene così: “Ho dedicato più tempo agli scacchi che a qualsiasi mia altra attività. Li amo, mi appassionano, mi divertono e quella testa di rapa di padre Adam continua a battermi senza alcuna pietà! A tutto c’è un limite!”. All’Hermitage di Pietroburgo è conservato un quadro del pittore Huber che raffigura Voltaire alla scacchiera con padre Adam. E lo stesso Huber, stando alle memorie della principessa Daschoff, dama d’onore di Caterina II di Russia, di passaggio a Ginevra nel 1771, giocò spesso a scacchi col filosofo, battendolo sempre e rovinandogli l’umore. Per padre Adam il signore di Ferney ingaggiò nel 1769 anche una singolare “battaglia della parrucca” con la Santa Sede. Il prete era infatti completamente calvo, ed essendo vietato dire messa con la parrucca, d’inverno andava soggetto a frequenti infreddature, che finivano col distoglierlo sia dagli uffici religiosi che da quelli… scacchistici. Così, Voltaire mise in campo il suo nome e il suo prestigio per chiedere una deroga, ma il vescovo di Annecy non la concesse. Il filosofo allora si rivolse direttamente al Papa, per il tramite del suo amico cardinale di Bernis, ambasciatore a Roma, ottenendo alla fine il “permesso di parrucca”. Voltaire poteva così vantarsi di aver piegato le gerarchie ecclesiastiche, e queste ultime, d’altra parte, di aver costretto il nemico della chiesa a riconoscere la loro autorità. Padre Adam, dal canto suo, continuò a umiliare sulla scacchiera il filosofo, che, dicono i testimoni di Ferney, non reagiva affatto sportivamente alle sconfitte: più di una volta l’autore del Trattato sulla tolleranza fu visto rovesciare la scacchiera sull’avversario e rincorrerlo per la stanza con il bastone!

 

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