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Fotografie di confini che nascono, mutano e scompaiono da un giorno all’altro

Luca Fiore

“Human territoriality", l'ultimo libro di Roger Eberhard è un viaggio nello spazio nel tempo che racconta le linee invisibili intorno a paesi e persone

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Roger Eberhard è un fotografo nato a Zurigo nel 1984. Il suo ultimo libro, Human Territoriality (Patrick Frei, 2020), raccoglie fotografie il cui soggetto non compare nell’immagine. Il volume, infatti, parla di confini. Quelli, per intenderci, che compaiono sulle carte geografiche: linee continue che separano gli stati. Se andiamo a vedere, nella realtà, queste linee quasi mai sono visibili. Prendiamo la patria di Eberhard, ad esempio: la maggior parte delle frontiere elvetiche corre lungo i pendii delle montagne. Se dovessimo raccoglierne le immagini, otterremmo niente più, o niente meno, che una serie di paesaggi alpini. Eppure è da queste linee invisibili che la storia di un paese e delle persone che lo popolano sono continuamente condizionate.

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Roger Eberhard è un fotografo nato a Zurigo nel 1984. Il suo ultimo libro, Human Territoriality (Patrick Frei, 2020), raccoglie fotografie il cui soggetto non compare nell’immagine. Il volume, infatti, parla di confini. Quelli, per intenderci, che compaiono sulle carte geografiche: linee continue che separano gli stati. Se andiamo a vedere, nella realtà, queste linee quasi mai sono visibili. Prendiamo la patria di Eberhard, ad esempio: la maggior parte delle frontiere elvetiche corre lungo i pendii delle montagne. Se dovessimo raccoglierne le immagini, otterremmo niente più, o niente meno, che una serie di paesaggi alpini. Eppure è da queste linee invisibili che la storia di un paese e delle persone che lo popolano sono continuamente condizionate.

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Eberhard si concentra soprattutto sui confini del passato, mostrando come essi nascano, mutino e scompaiano con una facilità sorprendente. In appendice al libro viene riportata un’affermazione su cui raramente poniamo attenzione: il numero dei paesi del mondo è aumentato da 50, all’inizio del XX secolo, a 90 nei primi anni Sessanta. Attualmente siamo a 200, pochi se consideriamo che le “nazioni” sono tra le 400 e le 600 e molte stanno cercando, ancora oggi, di ottenere l’indipendenza. Nell’introduzione al libro, Henk van Houtum, professore di Geografia politica alla Radbound University di Nimega (Olanda), osserva che “certamente, qualche confine cambierà più velocemente di altri, ma nessuna frontiera creata da essere umani è mai restata immutata. In altre parole, nella storia geopolitica il fissare confini o identità non è un fattore costante, lo è piuttosto il perpetuo cambiamento di essi”.

 

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Il libro è un viaggio nello spazio, ma anche nel tempo. L’immagine di un’ansa del Fiume Giallo racconta una storia che risale al 230 a. C. Un paesaggio desertico nel territorio cileno fa riferimento a un trattato del 1866. La linea del Mar Nero serve a spiegare la contesa della Crimea tra Russia e Ucraina del 2014. L’arrivo della funivia sul Ghiacciaio del Furggsattel racconta di come il confine tra Svizzera e Italia si sia modificato a causa dello scioglimento dei ghiacciai. C’è il Vallo di Adriano, poi, la muraglia cinese, la frontiera tra Messico e Stati Uniti. E il bosco della collina di Duivelsberg, l’unico fazzoletto di terra che, dopo una contesa durata quasi quindici anni, l’Olanda è riuscita a ottenere come risarcimento dalla Germania dopo la Seconda guerra mondiale. Le cinquantuno immagini a colori sono accompagnate da un breve testo che ne illustra il contesto geopolitico.

 

In appendice, poi, l’autore presenta le mappa e le coordinate geografiche di ciascun luogo. Il risultato è una sorta di atlante della migrazione dei confini tra nazioni. Eberhard, inserendosi nella tradizione della fotografia documentaria, fissa sulla pellicola paesaggi naturali e urbani con rigore e sobrietà. Niente effetti speciali. La figura umana è assente, eppure ogni immagine parla di popoli che si incontrato e si scontrano, vicende storiche dentro le quali si agitano le passioni dei singoli uomini. La natura, ma anche l’architettura talvolta, sembra muta spettatrice dei sommovimenti della storia. Fredda testimone dell’agitarsi delle ideologie, delle brame di potere, dei sogni di gloria e degli incubi della sconfitta. Van Houtum fa precedere il suo testo introduttivo da “La fine e l’inizio”, una poesia di Wislawa Szymborska: “Dopo ogni guerra / c’è chi deve ripulire. / In fondo un po’ d’ordine / da solo non si fa. (…) Non è fotogenico, / e ci vogliono anni. / Tutte le telecamere sono già partite / per un’altra guerra. (…) Sull’erba che ha ricoperto / le cause e gli affetti, / c’è chi deve starsene disteso / con una spiga tra i denti, / perso a fissare le nuvole”.

 

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