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Apparizioni. Ci credereste? Cambiano il senso di una vita o di un romanzo

Alfonso Berardinelli

Il libro di Andrea Gentile si colloca fuori dalle categorie convenzionali. Un manuale di autocoscienza? Un reportage fenomenologico sulla percezione intensificata?

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Credo che non sia facile per nessuno eguagliare in originalità e percettività un libro come "Apparizioni" di Andrea Gentile (nottetempo, pp. 235, euro 18). Ho cominciato a leggerlo sia incuriosito che scettico, chiedendomi che argomento, che tema, che oggetto di discorso potesse essere quello così semplicemente enunciato nel titolo. Già le prime pagine, però, mi hanno fatto capire tutto. Le apparizioni a cui Gentile ha dedicato la sua indagine sono qualcosa di fondamentale, benché trascurato. La nostra vita mentale e psico-emotiva, ma anche fisica, cioè il nostro mondo, o quello che il mondo è per noi, è in realtà fatta di apparizioni: di quelle a cui siamo capaci di fare spazio e di tutte quelle alle quali la nostra mente indaffarata e distratta impedisce di emergere. Per dare corpo al suo oggetto, a un tale fenomeno della soggettività, Gentile ha dovuto sviluppare in sé il tipo di attenzione e di scrittura necessarie. Non si sa perciò come definire il suo libro usando le categorie convenzionali con cui etichettiamo i prodotti letterari offerti dal mercato. Un manuale di autocoscienza? Un reportage fenomenologico sulla percezione intensificata? Un’indagine diaristica e saggistica su quanto ci permette o ci impedisce di vivere consapevolmente?

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Credo che non sia facile per nessuno eguagliare in originalità e percettività un libro come "Apparizioni" di Andrea Gentile (nottetempo, pp. 235, euro 18). Ho cominciato a leggerlo sia incuriosito che scettico, chiedendomi che argomento, che tema, che oggetto di discorso potesse essere quello così semplicemente enunciato nel titolo. Già le prime pagine, però, mi hanno fatto capire tutto. Le apparizioni a cui Gentile ha dedicato la sua indagine sono qualcosa di fondamentale, benché trascurato. La nostra vita mentale e psico-emotiva, ma anche fisica, cioè il nostro mondo, o quello che il mondo è per noi, è in realtà fatta di apparizioni: di quelle a cui siamo capaci di fare spazio e di tutte quelle alle quali la nostra mente indaffarata e distratta impedisce di emergere. Per dare corpo al suo oggetto, a un tale fenomeno della soggettività, Gentile ha dovuto sviluppare in sé il tipo di attenzione e di scrittura necessarie. Non si sa perciò come definire il suo libro usando le categorie convenzionali con cui etichettiamo i prodotti letterari offerti dal mercato. Un manuale di autocoscienza? Un reportage fenomenologico sulla percezione intensificata? Un’indagine diaristica e saggistica su quanto ci permette o ci impedisce di vivere consapevolmente?

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Ci sono libri, non molti, che esplorano spazi dell’esperienza che comunemente si sottraggono al pensiero, o più precisamente a quel turbinio di mezzi pensieri che si frappongono come una molle e inconsapevole barriera fra la mente e il presente reale in cui siamo, rendendolo irreale o meno reale. Un’apparizione è invece la percezione consapevole che in un istante realizza una qualche realtà, anche se immaginaria o fittizia. Non importa quanto queste realtà siano importanti se misurate con le varie scale di valori storici, scientifici o politici. La cosa che conta è l’istantanea apparizione in sé stessa. La fisionomia della nostra vita mentale è disegnata dalla trama che connette questi momenti illuminanti: dovuti o a esperienze artistiche del tutto personali e singolari, o a quelle passività contemplative che permettono di accogliere semplicemente ciò che l’attimo contiene e che misteriosamente ci modifica creando in noi un nuovo spazio percettivo. Gentile parla spesso di apparizioni provocate da varie arti. In effetti nell’estetica del Novecento, del cui influsso in parte continuiamo a vivere, le apparizioni rivelatrici hanno modificato l’idea dell’arte e la struttura delle forme artistiche.

 

E’ il lato per così dire mistico, o ascetico, o lirico, delle rivoluzioni artistiche del Novecento. Per Proust e per Joyce gli attimi rivelatori e irradianti, le sorprese della memoria involontaria o l’intensità della singola immagine che si sprigiona dal vuoto, invece che dipendere dalla struttura narrativa, la creano e la impongono all’autore. Spiegando come si è reso possibile il nuovo romanzo di primo Novecento, da Pirandello a Joyce, da Proust a Kafka, fu Giacomo Debenedetti a mostrare che certe destabilizzanti apparizioni hanno costretto a inventare forme di narrazione ignote nell’Ottocento, nelle quali la percezione è dilatata e potenziata fino a provocare rivoluzioni interiori e svolte di destino. Si è parlato di superamento del realismo ottocentesco. Ma Viktor Sklovskij, uno dei cosiddetti Formalisti russi, parlò di “straniamento” percettivo come uno degli accessi privilegiati alla realtà, a una maggiore realtà, per esempio in Tolstoj, il più realista dei realisti. Sono certe inaspettate apparizioni a cambiare il senso alla vita di un personaggio. Nello straniamento si vede all’improvviso qualcosa che le abitudini reprimevano e nascondevano. E’ così, dice Sklovskij, che Tolstoj “ha preso le distanze dalle normali forme del romanzo”, dando un’importanza decisiva a dettagli e circostanze in precedenza insignificanti che si impongono all’improvviso come decisive. Si tratta, mi pare, proprio di apparizioni nel senso in cui ne parla Gentile.

 

Quando scrive che “non esistono apparizioni false” vuole dire che nell’esperienza di un’apparizione il reale convenzionale può smettere di essere vero e il non ancora vero si realizza. Era avvenuto in Tolstoj e sarebbe avvenuto in Kafka.

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