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Maradona, fenomenologia di un gordito

Giuliano Ferrara

La sua carne carismatica comunicava il vizio come una virtù, in quel suo folle amor proprio che ne fa a suo modo un moralista barocco. Sulla lapide voleva solo “grazie alla palla”. Cosa c’è di più ciccione di una palla? Ecco chi fu l’uomo che si fece palla

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Per me è sempre stato el gordito, il ciccione, non il santo dei poveri di strada e di campetto, il dio del calcio, lo strafenomeno dell’allegria e del maledettismo, ma il tracagnotto che dribblava e segnava, anche con la mano se necessario, inseguito dai fantasmi della miseria, del patriottismo napoletano, dell’internazionale castrista, della cocaina, del sesso senza precauzioni, della colpa e del peccato sublimati nella vida loca, infine e in prima battuta dallo spettro ritornante della pancetta, della metamorfosi bulimica, dell’obesità a prova di dieta, dell’eccesso divoratore. Teoricamente il calcio sarebbe uno sport, una cosa sana. Lui era un idolo in carne, con poca ossatura anche quando era quello che si dice un falsomagro, e diventò un eroe romantico a contatto con Napoli, che sempre gli è rimasta in scia dovunque andasse e qualunque pazzia facesse.

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Per me è sempre stato el gordito, il ciccione, non il santo dei poveri di strada e di campetto, il dio del calcio, lo strafenomeno dell’allegria e del maledettismo, ma il tracagnotto che dribblava e segnava, anche con la mano se necessario, inseguito dai fantasmi della miseria, del patriottismo napoletano, dell’internazionale castrista, della cocaina, del sesso senza precauzioni, della colpa e del peccato sublimati nella vida loca, infine e in prima battuta dallo spettro ritornante della pancetta, della metamorfosi bulimica, dell’obesità a prova di dieta, dell’eccesso divoratore. Teoricamente il calcio sarebbe uno sport, una cosa sana. Lui era un idolo in carne, con poca ossatura anche quando era quello che si dice un falsomagro, e diventò un eroe romantico a contatto con Napoli, che sempre gli è rimasta in scia dovunque andasse e qualunque pazzia facesse.

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Fu un Byron di Fuorigrotta, “aveva bisogno della colpa per provocare in sé fenomeni di senso morale, della fatalità per gustare il flusso della vita” (così Mario Praz sul giovane Lord e poeta-dandy della dissolutezza ottocentesca). E ciccione è proprio chi ha bisogno della colpa per la sua vitalità e la sua morale. Così l’uomo più scorretto che si sia conosciuto da decenni, uomo della notte e degli amici criminali, modello di anti-deontologia, con il suo genio della promiscuità, della folla come misura esatta della solitudine, questo protagonista assoluto del pigia-pigia ci lascia soli e subordinati alla regola sanitaria in un tempo asettico e socialmente distanziato. Meglio o peggio di Pelé, ne è sempre stato agli antipodi etici, come la parabola spezzata differisce dalla parabola compiuta. La sua carne carismatica, quel gonfiarsi e sgonfiarsi che allude alla scintillante violenza del suo gioco-show, mostra quanto è rotondo il calcio, quante moltitudini contiene la palla. L’Avvocato lo voleva come un sogno impossibile, ché la Juve è dei magri professionali e uno come lui l’avrebbe beffata e distrutta. Che avesse una capacità poetica, nonostante quella respingente aura di autentico, di neorealista, e che fosse nato istrione per eccitare ardore e nostalgia, questo è sicuro.

 

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L’investimento emotivo su di lui non si può giustificare con scudetti, gol del secolo e calciomercato. Il morbo della curiosità più invasiva, che opprimente lo riguardava in ogni suo fatto e misfatto, rifletteva la scena e il retroscena della coscienza collettiva, non dipendeva dal marketing dei supereroi di ora e di quaggiù, era una dipendenza più forte, una droga che ebbe effetti mistici su chi lo ha amato al di là del dicibile e del comprensibile. Comunicava il vizio come una virtù, in quel suo folle amor proprio che ne fa a suo modo un moralista barocco. Sulla sua lapide voleva solo un “grazie alla palla”, disse in una autointervista. E che cosa c’è di più ciccione di una palla? Era l’uomo che si fece palla. Nell’ultima intervista al Clarìn diceva che “la pandemia è il peggio che ci potesse capitare” e che “confidava in Putin” per un vaccino come si deve. Era un trasgressivo a ogni latitudine, veicolava anche i vizi degli altri, li rendeva possibili, li giustificava. Per questo ora infuriano i toni e i tratti del santino, e risulta eterno, il migliore di sempre, quando la vera lode è che riuscì perfettamente a essere il peggiore di sempre.

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