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Hayek e Aron nell'ultimo libro di Mingardi

Giuseppe Bedeschi

"Contro le tribù. Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna", Marsilio editore, è uno spunto per un confronto, utile ancora oggi, tra due grandi liberali

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Alberto Mingardi, noto e apprezzato studioso di Friedrich von Hayek, ha da poco pubblicato un libro (Contro le tribù. Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna, Marsilio editore), in cui ritorna su alcuni dei concetti centrali del grande pensatore austriaco. Questo libro costituisce quindi una utile occasione per rimeditare alcuni dei nodi teorici della concezione hayekiana. Per Hayek il fondamento della società libera è il mercato, il quale non è solo quello spazio sociale in cui gli imprenditori, sotto lo stimolo della concorrenza, si sforzano continuamente di abbattere i costi di produzione e di vendere sempre più a buon mercato merci e servizi; esso è anche, e soprattutto, lo strumento che genera un flusso incessante e sempre crescente di esperienze e di informazioni, che non sarebbe possibile ottenere in altro modo. Grazie a queste esperienze e informazioni, gli operatori possono ideare e realizzare nuove combinazioni produttive, cioè possono innovare continuamente sia gli strumenti nonché le forme di organizzazione della produzione, sia la quantità delle merci e dei servizi.

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Alberto Mingardi, noto e apprezzato studioso di Friedrich von Hayek, ha da poco pubblicato un libro (Contro le tribù. Hayek, la giustizia sociale e i sentieri di montagna, Marsilio editore), in cui ritorna su alcuni dei concetti centrali del grande pensatore austriaco. Questo libro costituisce quindi una utile occasione per rimeditare alcuni dei nodi teorici della concezione hayekiana. Per Hayek il fondamento della società libera è il mercato, il quale non è solo quello spazio sociale in cui gli imprenditori, sotto lo stimolo della concorrenza, si sforzano continuamente di abbattere i costi di produzione e di vendere sempre più a buon mercato merci e servizi; esso è anche, e soprattutto, lo strumento che genera un flusso incessante e sempre crescente di esperienze e di informazioni, che non sarebbe possibile ottenere in altro modo. Grazie a queste esperienze e informazioni, gli operatori possono ideare e realizzare nuove combinazioni produttive, cioè possono innovare continuamente sia gli strumenti nonché le forme di organizzazione della produzione, sia la quantità delle merci e dei servizi.

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Questo ruolo del mercato, sottolinea Hayek, è stato ampiamente sottovalutato dalla grande maggioranza degli studiosi di scienze sociali, poiché essi hanno concepito il sapere solo come la somma delle conoscenze scientifiche disponibili in un dato momento, organizzate e codificate dagli scienziati. Senonché, questa concezione del sapere è angusta e inadeguata, in quanto “esiste senza dubbio un corpo di conoscenze molto importanti, ma non organizzate, che non possono essere considerate scientifiche, nel senso di conoscenze di leggi generali: esse sono le conoscenze delle circostante particolari di tempo e di luogo”. Sono proprio queste conoscenze che vengono fornite dal mercato, e che vengono utilizzate dagli operatori per le nuove combinazioni produttive. Questo meccanismo contribuisce da un lato prepotentemente alla crescita della ricchezza sociale, e dall’altro lato fornisce sempre nuovi materiali e nuovi stimoli al sapere scientifico strettamente inteso.

 

E’ dunque una “fatale presunzione” l’illusione che la mente umana possa conoscere tutte le variabili del processo economico-sociale, e che possa utilizzarle secondo un piano consapevolmente elaborato dalla mente umana stessa. Questa illusione ha generato tutti gli esperimenti pianificatori (di ispirazione socialista), che hanno portato sempre al regresso economico e alla penuria. Il mercato è dunque lo strumento potente che permette alla società di progredire continuamente: purché esso non venga distorto e coartato da interventi che ne alterano il movimento spontaneo. Perciò Hayek è ostile non solo ai “pianificatori”, ma anche alle distorsioni che le posizioni di monopolio introducono nel mercato stesso. Allo stesso modo Hayek, mentre è favorevole a provvedimenti di sostegno agli indigenti, agli sfortunati, agli istituti sanitari ecc., è decisamente contrario, invece, a qualunque organizzazione della società basata su una ridistribuzione del reddito a favore di ceti e di gruppi sociali.

  

Per Hayek, insomma, il liberalismo si preoccupa della giustizia commutativa, ma non di quella cosiddetta distributiva, o, secondo un’espressione assai diffusa, della “giustizia sociale”. Non bisogna dimenticare che queste posizioni hayekiane sono state fermamente criticate da un altro grande pensatore liberale, Raymond Aron, il quale non si peritò di affermare che “la concezione liberale della libertà aveva subito il peso della critica socialista”. E distinse fra la libertà “negativa” (non impedimento per mezzo di una minaccia di sanzione), e la libertà “positiva”, ovvero la capacità di fare. “L’insegnamento gratuito ha dato a tutte le famiglie la possibilità di mandare i propri figli a scuola, mentre prima ne avevano il diritto ma non i mezzi”. Aron, insomma, difendeva quella che egli chiamava “la sintesi democratico-liberale”, realizzata nella seconda metà del Novecento nell’Europa occidentale: sintesi che egli faceva interamente propria, e che definiva “l’espressione più soddisfacente o comunque la meno lontana dall’ideale liberale”.

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Lo stato non può essere un mero “regolatore del traffico”, bensì deve diventare “stato sociale”. “La previdenza sociale – diceva il pensatore francese – dà a tutti i mezzi necessari per esercitare la libertà di ricevere cure mediche adeguate; l’indennità di disoccupazione o di malattia libera la vittima della cattiva sorte dalla sudditanza che le verrebbe inflitta dalla perdita della salute o dell’impiego qualora restasse ‘libera’ di trarsi d’impaccio da sola di fronte a circostanze del tutto indipendenti dalla sua volontà”. Che lo stato, divenuto legislatore della previdenza sociale e garante dei diritti sindacali, non fosse più il “mostro” che assorbe o divora tutte le libertà, appariva ad Aron un fatto incontrovertibile. Anzi, se lo stato non esercitasse questo ruolo, promuoverebbe indirettamente un tale assetto di ineguaglianza e di illibertà di fatto, che le stesse istituzioni liberali prima o poi crollerebbero rovinosamente. Credo che questo confronto Aron-Hayek meriti la più grande attenzione, per i preziosi insegnamenti che è ancora in grado di darci.

  

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