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L'ironia che serve per riadattarci al futuro. Parla Camilla Filippi

Bianca Maria Sacchetti

"Siamo fatti per dimenticare, altrimenti alcuni dolori ci paralizzerebbero per sempre. Mi fa paura che le persone possano abituarsi a stare senza cinema e teatro". L'attrice, che ha debuttato nella letteratura con La sorella sbagliata si racconta

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L’attrice Camilla Filippi ha debuttato nella narrativa lo scorso settembre per Harper Collins con La sorella sbagliata, romanzo che, con una voce ironica e intima, racconta le asprezze delle relazioni familiari, il dramma della disabilità, la storia di due giovani sorelle, di un conflitto apparente e di un'unione vera.

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L’attrice Camilla Filippi ha debuttato nella narrativa lo scorso settembre per Harper Collins con La sorella sbagliata, romanzo che, con una voce ironica e intima, racconta le asprezze delle relazioni familiari, il dramma della disabilità, la storia di due giovani sorelle, di un conflitto apparente e di un'unione vera.

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Fine degli anni Settanta in un’Italia alle prese con il sequestro Moro e le Brigate Rosse, Luciana ora vive a Bologna, insegna in un liceo e ha cambiato tutto della sua vita. È infatti fuggita da Milano, città in cui è cresciuta, a tratti con fatica e dolore, visto il rapporto conflittuale con sua madre, per la quale lei aveva sempre torto, nonostante Giovanna, la sorella preferita, paralitica e problematica, la rendesse vittima di incessanti angherie. Una telefonata improvvisa però la riporta a Milano: sua madre è morta e l’unica cosa che conta adesso è riannodare il filo con sua sorella Giovanna, che le propone di partire, di andare via insieme sulle tracce di un legame ormai logoro. Inizia così un viaggio a tratti surreale, con prima destinazione Stromboli, troppo lontana, poi virato su San Benedetto del Tronto nelle Marche. Un’esperienza che riuscirà a trasformare le loro esistenze, guarire ferite e calmare antichi rancori e sensi di colpa.

  

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Fra libri che magari saranno film, amici immaginari e vulcani che forse esploderanno, abbiamo intervistato l’autrice.

 

 

Qual è stata l'esigenza narrativa e artistica che, nel pieno di una carriera cinematografica, ti ha condotto al passaggio recitazione-scrittura?

Un mio mantra nella vita è quello di non mettermi mai paletti, non voglio limitarmi. Sono attrice ma posso diventare altro, la mia strada non è scritta e non è una sola. Avevo voglia di indagare il senso di colpa e il rapporto di sorellanza, nonché l’enorme difficoltà di stare in equilibrio in quest’ultimo. Con questo libro volevo soprattutto approfondire il concetto di diversità, che secondo me non esiste realmente ma vive e si nutre solo negli occhi di chi guarda. È lo sguardo che decide di percepire un qualcosa come altro, diverso. Sono questi gli aspetti che desideravo capire nel profondo e che ho pensato di riuscire a raccontare ed esprimere in un romanzo più che in un film. Il libro lascia maggiore libertà di azione. Detto questo, ovviamente mi auguro tantissimo che un domani La sorella sbagliata diventi un film.

  

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Il tema del tuo romanzo è la marginalità che si corregge in inclusività, un legame ferito che si cicatrizza, ma soprattutto una liberissima ispirazione alla tua storia familiare: la scrittura può essere un laccio per ritrovare pezzi mancanti di se stessi ed elaborare i propri conflitti?

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Sì assolutamente. La fortuna dell’artista sta proprio nel poter mettere il dolore da qualche parte e io infatti ho lasciato in queste pagine un po’ di dolore tutto mio. La storia del libro è inventata, tranne due elementi autobiografici: la morte della madre, che ho vissuto, e la disabilità, perché io ho una zia spastica, quindi con un problema motorio, mentalmente normale, anzi superiore, ma sempre percepita dagli altri come diversa. 

  

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La componente ironica e lucida del romanzo aiuta molto il lettore a restare in contatto con chi scrive: quanto c'è di te in questa e quanto invece si tratta di stile e tecnica narrativa?

Mi appartiene tantissimo questa componente, io penso che per sopravvivere sia fondamentale non smarrire mai l’ironia. Quando ti trovi a fronteggiare situazioni complesse, hai solo due strade davanti: essere triste perché le cose sono state complicate e i dolori più delle gioie oppure riderci sopra e dire “ah è andata così”, senza piangerti addosso. Me lo ha insegnato mia madre: nel bene e nel male mai prendersi troppo sul serio. 

 

“Come un vulcano, pronte ad esplodere”: è questa la sintesi non solo del carattere delle due protagoniste ma anche dei legami più intimi, come quello di due sorelle o di una figlia con la propria madre? 

C'è un continuo movimento dentro e attorno a noi, a volte esplode, altre volte no. Non è detto che sia un bene un'esplosione, non serve sempre agire subito, spesso è meglio aspettare, avere pazienza, stare a guardare. Poi però esiste l’impulsività, certo, come quella del vulcano: arriva il momento in cui non ce la fai più ed esplodi. 

  

La soluzione riparatrice nel tuo libro coincide con il viaggio, esperienza oggi impossibile: non possiamo andarcene, scappare, fuggire da questo presente amaro. Quanto ti pesa?

Per me il viaggio è fondamentale, dato che credo sia molto difficile mettersi in discussione quando si è fermi, cristallizzati nei soliti meccanismi. Viaggiando si arriva a contatto con l’altro, quindi si cresce e si cambia. Ora non mi pesa però questa privazione, perché so che tornerà quel tempo e adesso dobbiamo solo accettare ciò che sta accadendo, poiché non abbiamo ancora i mezzi per contrastarlo. 

  

Gli adulti, oggi più che mai, discutono su come sarà il futuro, mentre i bambini lo immaginano. Cosa ricorderanno i più piccoli di questi strani mesi?

I bambini diventeranno adulti e dimenticheranno. Siamo fatti per dimenticare, altrimenti alcuni dolori ci paralizzerebbero per sempre. Se una donna ricordasse davvero cosa vuol dire partorire non credo che vorrebbe mai un secondo figlio. Penso tuttavia che a volte dimenticare sia un male e infatti non so come si potrà essere archiviare tutta questa sofferenza. Stiamo attraversando un momento difficile, non c’è dubbio, ma confido nella forte capacità di adattamento dei bambini, molto più potente della nostra. Più si cresce più si resta ancorati a certezze e abitudini, mentre i piccoli sono fluidi, sanno adeguarsi e poi, chissà, forse non ricorderanno questi mesi in maniera così complessa e dolorosa come noi grandi. 

   

Gli amici immaginari, una risposta creativa tipica dell'infanzia alle rivoluzioni repentine del quotidiano. Un'indagine demografica fantastica oggi ne registrerebbe tantissimi. Tu ne avevi? 

No, io mai avuti, ma ho sempre immaginato di essere persone e personaggi diversi, un po’ quello che poi mi ha portata a scegliere la strada da attrice. Non cercavo in un altro qualcosa di nuovo e differente ma lo trovavo in me stessa, forse in modo un po’ ego-riferito. Sognavo magari per un’intera giornata di essere una violinista e ci costruivo attorno una storia piena di dettagli fino a farla sembrare vera.

    

Se domani potessi svegliarti nei panni di un'altra persona, anche solo per poco tempo, chi vorresti essere? 

Frida Kahlo. Lei racchiude tante cose nelle quali io credo: la forza, il talento, l’indipendenza, le battaglie, la coerenza. 

   

Il tuo giorno della marmotta, quello da rivivere in loop, qual è?

Il giorno del mio matrimonio, perché c’erano tutti quelli che amo. 

  

Grave la situazione per il mondo dell'arte e senza precedenti una simile ferita. Cosa ti spaventa di più? 

La cosa che più mi terrorizza ora? Che le persone possano abituarsi a stare senza cinema e teatro. È un pensiero che mi crea dolore, mi fa male. Spero con tutta me stessa in una politica volta a tirarci fuori da questa precarietà, da questa immensa incertezza, che ci dia prospettive. C'è bisogno di progettualità per essere un po’ più felici e un po’ meno spaventati. 

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