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la scomparsa dell'attore

Essere Gigi Proietti, fino alla fine

Andrea Minuz

Oscillava, elegante, fra Shakespeare e Mandrake, autore di gag senza tempo. Per noi resterà la sua immagine con il Foglio sotto al braccio

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Morire il giorno dell’ottantesimo compleanno, il “giorno dei morti”, con i teatri a lutto, tutti chiusi per dpcm. Essere Gigi Proietti fino alla fine, un po’ come Sean Connery, che se n’è andato nel sonno a novant’anni, nella sua villa alle Bahamas. Un’uscita di scena perfetta, anche perché a Roma, si sa, la morte e i morti sono da sempre il nutrimento della comicità, dell’ironia perfida e strafottente della città. Usata così tante volte a sproposito, l’espressione “Maestro” rende bene l’idea di cosa è stato e continuerà a essere Gigi Proietti, un incredibile fuoriclasse dello spettacolo italiano, il “Maestro di tante generazioni di attori”, come ha detto Mattarella. Formidabile Proietti, che in una cultura molto bacchettona, sempre col ditino alzato quando c’è di mezzo “il popolare”, si fa acrobata impareggiabile.

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Morire il giorno dell’ottantesimo compleanno, il “giorno dei morti”, con i teatri a lutto, tutti chiusi per dpcm. Essere Gigi Proietti fino alla fine, un po’ come Sean Connery, che se n’è andato nel sonno a novant’anni, nella sua villa alle Bahamas. Un’uscita di scena perfetta, anche perché a Roma, si sa, la morte e i morti sono da sempre il nutrimento della comicità, dell’ironia perfida e strafottente della città. Usata così tante volte a sproposito, l’espressione “Maestro” rende bene l’idea di cosa è stato e continuerà a essere Gigi Proietti, un incredibile fuoriclasse dello spettacolo italiano, il “Maestro di tante generazioni di attori”, come ha detto Mattarella. Formidabile Proietti, che in una cultura molto bacchettona, sempre col ditino alzato quando c’è di mezzo “il popolare”, si fa acrobata impareggiabile.

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In equilibrio tra Shakespeare e Mandrake, Apollinaire e il maresciallo Rocca, Petrolini e Molière, Garinei e Giovannini, con quell’“Alleluja brava gente” che gli spiana la carriera, dopo uno sperimentalissimo “Dio Kurt” di Moravia, nel 1969 e un intenso periodo avantgarde con il “Teatro Sperimentale Centouno” di Antonio Calenda. Erano gli anni del teatro di ricerca, dei “laboratori”, del training permanente alla Grotowski, della performance, delle prove che sono il vero spettacolo, sempre introvabile, impossibile, irraggiungibile. 


“Ma a furia di sperimentare e ricercare”, diceva Proietti, “non è che poi se dimenticamo d’anda’ in scena?”. E una scena sola a uno come lui non bastava: teatro, radio, televisione, varietà, cabaret, musica, sceneggiati, film di Natale, avventure a Hollywood, cinema brechtiano con Elio Petri, filoni balneari con i Vanzina, e ancora Sergio Citti, Mario Monicelli, Alberto Lattuada; Proietti voce del “Casanova” di Fellini, Proietti “Sandokan” per Gregoretti in tv due anni prima di Kabir Bedi, Proietti indimenticabile Jacques Brel che sussurra uno straziante, esistenzialistico, immortale, “Nun-me-romp’-er-ca’”. 

 

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A dispetto dell’aura di sacralità del teatro, per molti spettatori, di sicuro per chi oggi ha vent’anni, Proietti significa gag, barzellette e tormentoni sfrenati su YouTube, come il leggendario, “cavaliere bianco, cavaliere nero”. Si può partire da lì e arrivare al “Mercante di Venezia” con Paolo Stoppa e Rina Morelli. Anche questa, soprattutto “questa” è la forza, la grandezza, la vera immortalità di un attore. “Io discendo dalle scale di casa mia”, rispondeva Ettore Petrolini quando gli domandavano se la sua comicità, le sue maschere, “discendessero” dalla grande tradizione della Commedia dell’arte. Vale anche per Gigi Proietti, metà romano, metà burino, come diceva lui, da sempre etichettato “erede di Petrolini”. Noi ce lo ricordiamo con una copia del Foglio sottobraccio in “Febbre da Cavallo 2”, o nella gag dell’avvocato (del popolo) e del contadino (“qui te se inculano, qua se li inculamo noi”). Una gag perfetta, senza tempo, e che oggi funziona anche come sintesi prodigiosa del vero backstage dietro a ogni dpcm.

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