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Televisione

“Pietre d’inciampo”, la nuova docu-serie scritta e condotta da Annalena Benini

giovedì 21 ottobre la seconda puntata del programma scritto e condotto dalla firma del Foglio

Angelica Migliorisi

Sei storie di sei vittime del nazifascismo. Giovedì 22 ottobre, alle 20.30, la vita della lirica Frida Misul, livornese, sopravvissuta all’Olocausto

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“Bisogna inciampare nella memoria per non dimenticare”. Così Annalena Benini, storica firma del Foglio, racconta la nuova docu-serie storica “Pietre d’inciampo” in onda su Rai Storia, di cui è scrittrice e conduttrice. Sei episodi per sei storie diverse, quelle di altrettante vittime del nazifascismo, a ognuna delle quali è dedicata una delle 1300 pietre d’inciampo sparse in tutta Italia. Quei sampietrini d’ottone, nati da un’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig, che sono testimonianza tangibile di ciò che è stato e non dovrà più essere. Giovedì 22 ottobre, alle 20.30, sarà la volta di Frida Misul, cantante lirica livornese di origine ebraica, la cui vita è incisa su una roccia posta in via Chiarini 2, a Livorno, nei pressi della sinagoga, dove un tempo c’erano le case abitate dagli ebrei.

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“Bisogna inciampare nella memoria per non dimenticare”. Così Annalena Benini, storica firma del Foglio, racconta la nuova docu-serie storica “Pietre d’inciampo” in onda su Rai Storia, di cui è scrittrice e conduttrice. Sei episodi per sei storie diverse, quelle di altrettante vittime del nazifascismo, a ognuna delle quali è dedicata una delle 1300 pietre d’inciampo sparse in tutta Italia. Quei sampietrini d’ottone, nati da un’idea dell’artista tedesco Gunter Demnig, che sono testimonianza tangibile di ciò che è stato e non dovrà più essere. Giovedì 22 ottobre, alle 20.30, sarà la volta di Frida Misul, cantante lirica livornese di origine ebraica, la cui vita è incisa su una roccia posta in via Chiarini 2, a Livorno, nei pressi della sinagoga, dove un tempo c’erano le case abitate dagli ebrei.

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E’ il 1943 quando la vita di Frida viene sconvolta: qualcuno che la conosce la denuncia come ebrea. Segue l’arresto, la prigionia a Fossoli, l’internamento ad Auschwitz. Ma Frida ha un dono, una voce incantevole, compagna instancabile di quei giorni bui. Una voce che non lascia indifferenti neanche i suoi aguzzini, che finiscono per riservarle un trattamento meno disumano degli altri, come a ripagarla di quel dono. Dopo la Polonia è la volta di Terezin, in Repubblica Ceca. E qui, nel 1944, fiaccata nel corpo e nell’anima, Frida sarà tra i pochi ad assistere all’ingresso trionfale dell’Armata Rossa nel lager. Torna a casa, Frida, e racconta la sua storia, la scrive, diventando una testimone dell’Olocausto.

 

“Pietre d’inciampo” si propone di tramandare la memoria attraverso storie individuali. “Protagonisti di queste pietre sono soprattutto deportati ebrei ma non solo: raccontiamo infatti anche le vittime delle Fosse ardeatine, di una guardia carceraria arrestata e deportata per aver aiutato a San Vittore delle famiglie ebree lì detenute in attesa di deportazione. La sua colpa, quella di aver dato loro qualcosa da mangiare, di averle trattate come esseri umani e non bestie. E per questo ha perso la vita”, racconta Benini.

 

Ideata da Simona Ercolani e prodotta da Stand By Me, in collaborazione con Rai Cultura, la serie ripercorre le vite dei protagonisti attraverso le testimonianze dei famigliari e il contributo degli storici, intervistati dalla giornalista: “Abbiamo cercato di andare in città diverse perché le pietre sono disseminate in tutta Italia, ma a causa della pandemia siamo stati costretti a ridimensionare le nostre aspettative. A Roma abbiamo girato la puntata inziale e quella conclusiva: la prima racconta la razzia del Ghetto, l’ultima l’eccidio delle Fosse ardeatine. In ogni pietra c’è la storia di una persona, di una famiglia, e di ognuna abbiamo approfondito un particolare evento storico grazie ai contributi degli esperti”, continua Benini.

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Ogni puntata, della durata di 25 minuti, riproduce una ferita mai rimarginata, uno strappo nella Storia dell’essere umano. E le pietre d’inciampo sono lì, immobili, a fare in modo che tutti ricordino, che tutti sappiano. “Nel 2020 – spiega Benini – è ancora importante parlarne, non bisogna dimenticare quello che è successo. E’ cruciale raccontarlo ai più giovani, che non hanno vissuto nulla, così come fondamentale è che queste pietre, e con loro il numero delle vittime, non vengano spersonalizzate. Non sono dei semplici numeri”. Questo il senso del monumento diffuso, questo il senso del documentario. La volontà di dare un volto e una storia a chi non c’è più “perché non vengano commessi di nuovo gli stessi errori. Anche se purtroppo continuano a essere reiterati”.

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