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Editore manda al macero il proprio libro sul colonialismo

Un professore è stato “cancellato” per la seconda volta in tre anni dopo che il suo editore ha ritirato la biografia di un imperialista britannico a seguito di una petizione accademica

Giulio Meotti

Il volume di Bruce Gilley sull'impero inglese era in uscita. Poi una petizione ha spinto Rowman & Littlefield a rinunciare alla pubblicazione. Intanto a Londra si processa l'eredità dell'ammiraglio Nelson in omaggio a Black Lives Matter 

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“Il ruolo dell’ammiraglio Nelson è in fase di revisione alla luce del movimento Black Lives Matter”. Il museo navale di Greenwich, a Londra,  censura dunque la storia dell’eroe di Trafalgar. E per la stessa logica si censura il lavoro degli storici dell’età coloniale. 

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“Il ruolo dell’ammiraglio Nelson è in fase di revisione alla luce del movimento Black Lives Matter”. Il museo navale di Greenwich, a Londra,  censura dunque la storia dell’eroe di Trafalgar. E per la stessa logica si censura il lavoro degli storici dell’età coloniale. 

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Un professore è stato “cancellato” per la seconda volta in tre anni dopo che il suo editore ha ritirato la biografia di un imperialista britannico a seguito di una petizione accademica. Il libro di Bruce Gilley, The Last Imperialist: Sir Alan Burns’ Epic Defense of the British Empire, doveva essere il primo volume di una serie pubblicata da Rowman & Littlefield e dedicata alle colonie. Gilley, che insegna alla Portland State University, ha ricevuto la seguente lettera: “Caro dottor Gilley, si prega di accettare questa lettera come avviso formale della nostra intenzione di annullare l’accordo. Rinunciamo a diritti e doveri stipulati nel contratto della serie Lexington Books firmato dall’editore il 17 marzo 2020. Cordiali saluti, Julie E. Kirsch, vicepresidente senior Rowman & Littlefield”. Gilley aveva raggiunto la notorietà tre anni fa con l’articolo “The Case for Colonialism”, in cui aveva sostenuto che il dominio coloniale inglese aveva avuto anche importanti effetti benefici. Il giornale, Third World Quarterly, era stato ritirato in mezzo a minacce e proteste e la National Association of Scholars aveva prontamente pubblicato il saggio sul proprio sito web. 

 
Il nuovo libro di Gilley aveva superato editing e revisione della Lexington, che fa parte della Rowman & Littlefield, e aveva ricevuto l’approvazione di due principi nel campo della storia coloniale, Jeremy Black e Tirthankar Roy. Il libro era già stato venduto ai distributori.  Tirthankar Roy, professore di Storia economica alla London School of Economics, ha dichiarato in una lettera a Lexington: “Che il libro potesse giustificare gli imperi, qualunque cosa significhi quell’espressione idiota, non mi è mai passato per la mente”. Per Roy, che un gruppo di “accademici fasulli” in università occidentali privilegiate possano decidere cosa si possa pubblicare rappresenta “il vero colonialismo”. 

 
The Last Imperialist era il culmine di cinque anni di ricerca  sulla vita di Burns, governatore del Ghana. Una petizione accademica spedita all’editore affermava che il libro avrebbe promosso il “nazionalismo bianco”. “Gli appelli ai princìpi democratici non smuoveranno coloro che credono, come Lenin, che il fair play liberale sia uno strumento di oppressione”, ha commentato Gilley sul Wall Street Journal. “Attribuisco la facilità e la rapidità della mia ultima cancellazione al panico morale generato da Black Lives Matter. Ha portato il totalitarismo culturale a nuovi livelli”. Ma non è solo questione di  libri. 

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La storia occidentale è diventata un campo minato anche sui giornali. Il New York Times aveva realizzato una serie, “1619”, a cura di Nikole Hannah-Jones, la cui tesi è che l’America non è nata nel 1776, ma nel 1619, con l’arrivo della prima nave  di schiavi africani. Bret Stephens, columnist del Times come Hannah-Jones, ha scritto un articolo per spiegare che il progetto “1619” è un fallimento. Risultato? Immemore delle recenti dimissioni di James Bennet e Bari Weiss, il New York Times Guild, il sindacato del quotidiano, ha attaccato pubblicamente Stephens, perché aveva osato criticare un articolo del proprio giornale. 
Una volta c’erano i pamphlet di Havel e  Klima, Divisione cancro di Solzenicyn e l’edizione pirata polacca della Fattoria degli animali di Orwell. Ora c’è un nuovo Index librorum prohibitorum democratico che si arricchisce sempre più di sottili delitti di lesa maestà contro ipotetiche “sensibilità”.

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