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Quando parti da Proust e arrivi a Woody Allen

Marco Archetti

Le riflessioni dello scrittore francese e lo splendido racconto del regista newyorkese in cui il protagonista flirta con Madame Bovary: la vita è deludente quanto la fantasia taumaturgica 

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Marcel Proust si coricava presto la sera e leggeva per due ore tra la colazione e il pranzo, poi riprendeva nel primo pomeriggio. Ne parlò in un saggio intitolato “Il piacere della lettura”, in cui, oltre a omaggiare il potere della scrittura nel riportare in vita “le dimore e gli stagni che non esistono più”, descriveva la camera in cui leggeva da ragazzo, l’odore della lupinella che accompaganava la sua silente attività, e illustrava i rischi della lettura quando si sostituisce alla vita dello spirito, vita che dovrebbe destare, e non rimuovere. Così ho ricordato la mia infanzia e quel che leggevo, per dedurne che in realtà leggevo poco, male, ma soprattutto parzialmente: credo di aver letto allo sfinimento solo i primi due capitoli de “Le avventure di Tom Sawyer”, di “Tre uomini in barca” o de “La capanna dello zio Tom” e di non essere mai andato oltre.

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Marcel Proust si coricava presto la sera e leggeva per due ore tra la colazione e il pranzo, poi riprendeva nel primo pomeriggio. Ne parlò in un saggio intitolato “Il piacere della lettura”, in cui, oltre a omaggiare il potere della scrittura nel riportare in vita “le dimore e gli stagni che non esistono più”, descriveva la camera in cui leggeva da ragazzo, l’odore della lupinella che accompaganava la sua silente attività, e illustrava i rischi della lettura quando si sostituisce alla vita dello spirito, vita che dovrebbe destare, e non rimuovere. Così ho ricordato la mia infanzia e quel che leggevo, per dedurne che in realtà leggevo poco, male, ma soprattutto parzialmente: credo di aver letto allo sfinimento solo i primi due capitoli de “Le avventure di Tom Sawyer”, di “Tre uomini in barca” o de “La capanna dello zio Tom” e di non essere mai andato oltre.

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Finivo io stesso quelle storie giocando coi miei amici a immaginare di essere l’uno o l’altro, e obbedendo di fatto al precetto proustiano: la lettura svegliava in me la vita dello spirito e non la esauriva; certo, alle pareti di camera mia campeggiava un poster di Platini e nella sua “il principe Eugenio, bello e terribile nel suo dolman da ussaro”; nella mia, affacciata su un bigio cortile condominiale del quartiere Urago Mella, Brescia, davanti a una finestra senza tende si immalinconiva una scrivania da poco prezzo seduto alla quale mio padre, dopo cena, si sfiancava a vuoto sui testi sacri del comunismo internazionale, mentre in quella di Proust, tale da consentirgli di godere quella “potenza intellettuale che si possiede nella solitudine”, figuravano un inginocchiatoio, un cassettone con una tovaglia di merletto e una triplice sovrapposizione di tendine di stamina, di mussola e di basino, ma il punto è un altro: arrivato al punto in cui Proust analizza il rapporto tra lettura e attività dello spirito, è affiorato alla mia mente un poderoso racconto del 1977 scritto da Woody Allen e intitolato “Il caso Kugelmass”, che un paio di anni fa compariva tra le fonti incriminate da un mediocrissimo articolo del Washington Post a firma di Richard Morgan, il quale, ficcando a sangue gli speroni nei fianchi del moralismo e convocando tutte le forze della slealtà intellettuale, smaniava come un segugio per scovare nei testi di Allen il tartufo della pedofilia, evidenziando come nei suoi copioni o tra le righe fossero rintracciabili in tutta evidenza le squallenti tracce dell’orco e del suo presunto (presunto? no, assodato!) ambiguo interesse per le ragazzine che il regista nutrirebbe nella vita.

 

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L’avvilente e arbitrario travaso tra realtà e immaginario era maturato dopo aver frugato in un tesoro di rara segretezza: 56 scatole di appunti che lo stesso Woody Allen aveva donato alla Princeton University, scatole piene di “contenuti lascivi” che avevano ispirato a Morgan questa grossolana conclusione: “Tutta l’arte è in parte autobiografica, viene da dentro la mente e da dentro l’anima di qualcuno. L’archivio di Allen mostra cosa c’è dentro la sua”. E vabbé, superiamo lo sconcerto e torniamo alle Lettere. Lo splendido racconto di Woody Allen narra di un calvo e recidivo professore di Letteratura che, infelicemente sposato per la seconda volta, desidera dare una scossa alla sua monotona esistenza. Lo fa rivolgendosi a un mago, che lo riceve in un appartamento fatiscente del quartiere Bushwick di Brooklyn e gli promette che, “per un paio di deca”, dopo averlo rinchiuso insieme a un romanzo in una portantina e aver picchiato tre colpi, l’avrebbe proiettato dentro quel romanzo. Kugelmass accetta. La scelta del romanzo meriterebbe un articolo a parte, ma anche il resto: Kugelmass avrà la sua avventura con Madame Bovary, che non si limiterà a ricevere le visite del poco attraente professore, ma a un certo punto avanzerà delle pretese del tutto incompatibili con la vita reale di Kugelmass. E così “salterà di qua”, insoddisfatta della sua vita da personaggio letterario. Difficile capire cosa abbia letto Morgan in questo magnifico racconto, forse tutto meno quel che c’è: la tragica verità sulle nostre aspirazioni e su come la vita sia specularmente deludente quanto la fantasia che riteniamo taumaturgica, una verità che anche Proust conosceva. La follia donchisciottesca prenderà pieno possesso del misero Kugelmass che, assetato di vita e dopo tanta hybris, collaborerà inconsapevolmente al proprio destino-nemesi: quello di essere inseguito per sempre – a causa di un cortocircuito della portantina – da un grosso, peloso e terrificante verbo irregolare di una sconosciuta grammatica straniera.

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