Calatevi nella notte di Cameron e non vi parrà possibile altro sguardo che il suo

Marco Archetti

In libreria il nuovo romanzo. Ci ha messo dieci anni a scriverlo ed è pensato parola per parola, controllato fino all’ultima sillaba, costruito e scritto benissimo

Difficile elencare, per uno scrittore, le mille ragioni per invidiare Peter Cameron. A cominciare dai titoli: che si tratti di traduzioni fedeli o di estro tutto adelphiano, sono sempre azzeccatissimi, musicali, spesso capaci di diventare (o rispecchiare?) modi di dire. E come non cedere all’ammirazione per la capacità dell’autore di scrivere dialoghi interessanti? Come non desiderare di possedere quella sua abilità di “ritagliare nel vuoto” e di far sparire tutto ciò che esiste intorno a un oggetto o uno sguardo, per lasciar galleggiare solo un aspetto di quell’oggetto o di quello sguardo fino a renderlo l’unico possibile, e con una naturalezza tale che al lettore sembra inconcepibile non aver guardato tutto il mondo, continuamente, sub specie petercameroniana? E’ il segno di una spiccata personalità letteraria.

 

Ogni grande scrittore ci convince che non esista altro sguardo possibile che il suo, ed è cosa buona e giusta e anche ovvia, perché ciò che rende inconfondibile la voce di un autore è proprio il suo sguardo, che significa: ciò che decide di guardare, ossia ciò che vuole che noi guardiamo (alla faccia degli alfieri della spontaneità). Anche nel nuovo, croccante di pubblicazione, “Cose che succedono la notte” (Adelphi, 241 pp., 19 euro ), Peter Cameron canta lo spartito delle sue padronanze. Ci ha messo dieci anni a scriverlo ed è un romanzo pensato parola per parola, controllato fino all’ultima sillaba, scritto per essere letto e – vivaddio – goduto. E’ costruito benissimo ed è pieno di tutto ciò che vorremmo sempre, denso di presentimenti, allusioni, gesti inavvertiti che però si avvertono, premonizioni latenti in ogni dettaglio. La situazione di partenza è già carica di presagi: c’è una coppia che scende rocambolescamente da un treno che sfreccia nel buio e nel gelo, un treno che rischiava di trascinarli lontano dalla loro destinazione (ma vai a sapere, le indicazioni sono del tutto assenti o indecifrabili). Allora la coppia prende avventurosamente un taxi e arriva a destinazione in un albergo piuttosto singolare, il Borgarfjaroasysla Grand Imperial Hotel, decadente e sinistro alla maniera di David Lynch: freddo, indecifrabile, grandissimo. Superata una tendina di perline rosse, l’ingresso al bar sembra dare su un altro mondo, i baristi fissano il vuoto e parlano solo se interpellati ma non sono quasi mai esaurienti e si ha sempre la sensazione che omettano qualcosa anche quando la domanda è semplicemente: “Di che carne è fatto questo hamburger?”.

 

Nella hall staziona o troppa gente o nessuno, spesso si avvicendano personaggi misteriosi che sembrano sapere sempre troppo o troppo poco, che non sono credibili nei panni di se stessi ma di colpo lo diventano, e sconosciuti che lo sono ma possono trasformarsi in altro. E tu la senti nettissima questa loro possibilità preoccupante – infinitamente preoccupante – di custodire il proprio contrario, una nemesi o una repentina mostrificazione, una possibilità di rivelazione o un abisso senza fondo, e tutti sembrano poter diventare crudeli torturatori psicologici, angeli scesi in terra o Caronti demoniaci. “L’uomo sedette sul letto. All’improvviso ebbe la sensazione che il mondo fosse troppo grande e complicato da tenere a bada. Si stese sulla trapunta e si mise a guardare il soffitto ricoperto di piastrelle bianche di linoleum come un pavimento. Guardare un soffitto come un pavimento lo disorientò completamente”.

 

Poi ci sono un orfanotrofio (destinazione della coppia, che deve adottare un bambino grasso di nome Simon), un guaritore che si fa chiamare fratello Emmanuel, e un’atmosfera che sequestra emotivamente chiunque ne sia immerso. E’ un mondo indecifrabile, i ponti crollano, le strade sono strade fantasma e somigliano alla scena di un’opera lirica, “quando si alza il sipario e sulla scena non è ancora entrato nessuno”. Quanto agli uomini, qualcosa li inghiotte o li sputa, li rivela o li cancella, li travolge o li supera, ma a un certo punto sembra normale anche l’inspiegabile, e non hanno più senso nemmeno le domande. Sono cose che succedono di notte. Di giorno, invece, è tutta un’altra storia. Le cose che succedono di giorno, non succedono. Di giorno non succede niente.

 

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