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L'intervista

Vi spiego perché a 25 anni odio gli uomini

Pauline Harmange è un caso letterario in Francia e racconta al Foglio l'importanza della misandria oggi

Angelica Migliorisi

Non conosce mezze misure. Odia i maschi. È femminista fino al midollo. E ha pubblicato con la microscopica casa editrice francese Monstrograph un volume che si intitola "Moi les hommes, je les déteste": se le donne vogliono qualcosa, se la devono andare a prendere

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Pauline Harmange non conosce mezze misure. Odia gli uomini. A 25 anni è femminista fino al midollo. E ha deciso di pubblicare, con la microscopica casa editrice francese Monstrograph, un volume che sta diventando il suo manifesto. “Moi les hommes, je les déteste” (in italiano, “Io, gli uomini, li odio”) è infatti uno dei successi editoriali del 2020, l’anno della pandemia, delle coppie scoppiate, l’anno in cui i lockdown hanno creato mostri domestici e ucciso la già flebile sessualità di famiglie di convenienza, ai limiti della sopportazione umana. Pauline ha raccolto le sue esperienze in poco meno di cento pagine, che sono quasi una chiamata alle armi: se le donne vogliono qualcosa, se la devono andare a prendere.    

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Pauline Harmange non conosce mezze misure. Odia gli uomini. A 25 anni è femminista fino al midollo. E ha deciso di pubblicare, con la microscopica casa editrice francese Monstrograph, un volume che sta diventando il suo manifesto. “Moi les hommes, je les déteste” (in italiano, “Io, gli uomini, li odio”) è infatti uno dei successi editoriali del 2020, l’anno della pandemia, delle coppie scoppiate, l’anno in cui i lockdown hanno creato mostri domestici e ucciso la già flebile sessualità di famiglie di convenienza, ai limiti della sopportazione umana. Pauline ha raccolto le sue esperienze in poco meno di cento pagine, che sono quasi una chiamata alle armi: se le donne vogliono qualcosa, se la devono andare a prendere.    

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Perché questo libro?

Nell’estate del 2019 ho scritto un articolo su un blog che affrontava il “burnout militante” [un senso di affaticamento che caratterizza spesso gli attivisti impegnati nel sociale, ndr] che molte femministe avvertono. In quell’occasione ho spiegato soprattutto quanto fossi stanca di vedere che anche i contenuti destinati a educare gli uomini non fossero consumati da loro ma dalle donne. Il che per me significava che anche quelli che si definivano volenterosi e ben intenzionati ad apprendere erano in realtà pigri quando si trattava di conoscere davvero il sessismo e le difficoltà che le donne incontrano ogni giorno. Volevo già approfondire il tema quando Monstrograph mi ha proposto di scriverne un libro. Ho accettato subito.

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Misandria: cosa vuol dire per lei? E perché è importante?

E’ una posizione di sfiducia o ostilità nei confronti del maschio in generale. Poiché gli uomini, come gruppo sociale, non hanno dimostrato di essere degni di cieca fiducia o affetto a priori, e data la pervasività della violenza di genere, non c’è motivo di continuare a metterli su un piedistallo.

 

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Di recente ha detto che “la misandria non è un appello alla violenza contro gli uomini”. Tuttavia, secondo il dizionario, questo termine indica una “morbosa avversione per il sesso maschile”. Non crede che un’“avversione” possa condurre a forme di violenza (soprattutto considerando il successo del suo libro)?

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Sto ancora aspettando che mi vengano forniti esempi di violenze riconducibili in modo manifesto alla misandria: mentre ci sono attacchi misogini e femminicidi in molti paesi nel mondo, non esiste oggi un equivalente “misandrico”. Eppure, le donne a cui non piacciono gli uomini esistono da molto tempo prima della pubblicazione del mio libro. In ogni caso, dubito fortemente che la mia opera possa essere all’origine di violenze contro gli uomini: invito a non frequentarli, ma non a commettere abusi nei loro confronti.

 

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La misandria è un mezzo o un fine? Serve a ottenere più diritti e inclusività che, una volta raggiunti, non la renderanno più necessaria o deve essere una condizione permanente?

La misandria non avrà più ragion d’esistere quando gli uomini tratteranno le donne come esseri umani e non come esseri inferiori. Abbiamo più diritti di prima, ma non basta sancirli per legge per vedere un vero cambiamento nella mentalità delle persone (ovviamente è utile e necessario, ma non sufficiente). A ogni modo, non preoccuparci dell’opinione maschile mentre viviamo le nostre vite di donne mi sembra un buon progetto permanente.

 

Ha definito la misandria “una reazione alla misoginia”, l’unico modo per le donne di essere veramente libere e felici. Eppure, ha un marito. Non pensa che a molti possa sembrare una contraddizione?

Come spiego nel mio libro, sono pienamente consapevole che mio marito ha difetti e comportamenti che sono radicati nella “mascolinità” che io denuncio. Anche lui ne è consapevole ed è uno di quelli che fa del proprio meglio – non nego che esistano uomini così. Ma prima di tutto, la misandria è una posizione contraria agli uomini intesi come gruppo sociale. Che piaccia o meno, traggono profitto e privilegi specifici del loro genere e sono ancora troppo pochi [quelli che fanno del loro meglio, ndr] per accettare di mettere in discussione la mascolinità e i suoi valori. Quegli stessi valori che sono al centro del rapporto di forza tra noi e loro.

 

Cosa pensa del “femminismo intersezionale”?

E’ una griglia di lettura indispensabile per elaborare un progetto femminista che non lasci indietro nessuno. “Donne” non è un gruppo omogeneo, è molto importante considerare ogni specificità perché queste costituiscono il punto di intersezione con altre forme di oppressione. In questo modo si può condurre una lotta completa contro tutto ciò che porta la società a maltrattare tante persone.

 

Quali sono i principali errori del femminismo oggi?

È troppo bianco, troppo borghese, troppo eterosessuale, non lascia abbastanza spazio per donne di colore, povere, trans, lesbiche e bisessuali, lavoratrici del sesso, disabili, etc. Il rischio è che si depoliticizzi e che lotti affinché solo “poche donne” possano accedere agli stessi privilegi degli uomini, continuando a schiacciare le altre.

 

Uomini e donne sono uguali?

Vorrei fosse finalmente così in termini di diritti, rispetto, opportunità di vita, libertà di scelta, libertà del corpo... Ma non credo che abbiamo interesse a diventare uguali a degli uomini cui sono stati instillati valori “virili” di violenza, ricerca di potere e dominio, a scapito dell’empatia, per esempio. Insomma, non voglio che le donne adottino valori così “mascolini” per raggiungere l’uguaglianza: voglio che questa si basi su altri principi.

 

Esiste un femminismo più “pedagogico”, secondo cui educare gli uomini a certi temi sia il modo migliore per eliminare, nel lungo periodo, l’eredità del patriarcato. Crede sia tempo sprecato?

Prima di tutto, voglio sottolineare che non è che perché ho scritto un libro sulla misandria destinato in particolare alle donne, non abbia mai avuto un atteggiamento pedagogico e volto al dialogo con gli uomini. E’ qualcosa che ogni femminista deve fare almeno una volta nella vita. Come volontaria in associazioni per la lotta contro le violenze sessuali, partecipo ad azioni di sensibilizzazione e offro anche personalmente dei contenuti educativi online accessibili a tutti. Ma rimane il fatto che gli uomini non decidono autonomamente di istruirsi su questi argomenti ed esigono che le femministe passino il loro tempo a dar loro lezioni, come se questo fosse il miglior uso che gli attivisti possano fare della loro preziosa energia. La causa femminista non è nata ieri. Oggi, nell’era di internet, il materiale didattico è infinito e facilmente accessibile per qualsiasi uomo voglia davvero imparare. Come sono nate le femministe? Certamente non solo attraverso la discussione con un’altra femminista: molte di noi, oltre a questi rapporti più personali e importanti, hanno letto libri, articoli online, visto documentari per poter andare avanti nella riflessione. Perché gli uomini non affrontano l’argomento in modo autonomo?

 

Per alcune femministe, le donne non devono abbandonare i luoghi in cui oggi gli uomini perpetrano le loro ingiustizie e il loro sessismo (giornali, aziende, etc.). Se lasciassimo questi luoghi, se ci riunissimo solo tra di noi, non sarebbe una sorta di “auto-ghettizzazione” per le donne fatta dalle donne?

Quando suggerisco alle donne di sperimentare spazi femminili non misti e di dare più importanza alle loro amicizie con le altre, non le sto invitando a rinunciare né agli spazi pubblici né al proprio lavoro. Anzi, il contrario. Ciò che voglio dire è che non bisogna aspettare l’approvazione degli uomini per appropriarsi di questi spazi o per realizzarsi nella vita personale. E se le donne vogliono continuare a insegnare, tanto meglio, finché ne hanno l’energia.

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