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Quando vennero inventati i libri allegati ai quotidiani

Mariarosa Mancuso

Le storie di John Stevenson, l’inglese che portò nelle edicole inglese l’iniziativa, e Jay Neugeboren Charles, lo scrittore che ne ha fatto un romanzo di famiglia

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Capitò un giorno di vedere, in casa di chi aveva frequentato non marginalmente l’editoria libraria, la collana in tinte pastello dei classici allegati a un quotidiano. Di altri libri non c’era traccia. Forse nascosti perché non arredavano, con i loro colori disordinati. O considerati inutili per una casa fuori città. Siccome non è spreco di denaro pubblico, il nome non l’avrete. Per l’estate 2020 il Corriere della Sera propone la collana Carofiglio, mentre Repubblica regala la collana Camilleri. Noi finalmente abbiamo scoperto che la promozione fu inventata da un inglese, tale John Stevenson: in un anno portò la diffusione del London Daily Herald da 350 mila a un milione di copie. Nel 1936 si trasferì negli Stati Uniti, dedicandosi al New York Post. Con 24 punti ritagliati dal quotidiano e 93 centesimi, al lettore fedele toccavano quattro volumi di un “Tutto Dickens” in venti volumi. Illustrati, riciclando immagini servite per più costose edizioni.

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Capitò un giorno di vedere, in casa di chi aveva frequentato non marginalmente l’editoria libraria, la collana in tinte pastello dei classici allegati a un quotidiano. Di altri libri non c’era traccia. Forse nascosti perché non arredavano, con i loro colori disordinati. O considerati inutili per una casa fuori città. Siccome non è spreco di denaro pubblico, il nome non l’avrete. Per l’estate 2020 il Corriere della Sera propone la collana Carofiglio, mentre Repubblica regala la collana Camilleri. Noi finalmente abbiamo scoperto che la promozione fu inventata da un inglese, tale John Stevenson: in un anno portò la diffusione del London Daily Herald da 350 mila a un milione di copie. Nel 1936 si trasferì negli Stati Uniti, dedicandosi al New York Post. Con 24 punti ritagliati dal quotidiano e 93 centesimi, al lettore fedele toccavano quattro volumi di un “Tutto Dickens” in venti volumi. Illustrati, riciclando immagini servite per più costose edizioni.

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Ottant’anni dopo, chiuso in casa come tutti per la pandemia, il romanziere e saggista Jacob Mordecai Neugeboren (Jay, quando si firma) riprende in mano i volumi che i genitori custodivano nella vetrinetta del soggiorno – assieme al servizio da tè e ai candelabri rituali. Ed è subito madeleine. In “Dickens in Brooklyn” (sulla New York Review of Books) racconta la vita sua e quella dei genitori, terribilmente somigliante ai romanzi dello scrittore. Trova una lettera di congratulazioni, per essere a buon punto: “Ora lei possiede oltre metà della collezione Dickens. Può immaginare quanto sarà meraviglioso averla tutta”.

 

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Ogni romanzo veniva presentato brevemente. Anche un po’ brutalmente, nel caso di “Il nostro comune amico”. Dickens racconta l’uomo di notte in barca sul Tamigi, assieme alla figlia, tacendo l’esatta natura di quel che viene issato a bordo. L’addetto ai riassunti parla subito di “cadavere”: il padre di famiglia ne ricava di che vivere. Dal fiume, spiegherà alla figlia, ha ripescato il materiale per costruire il tugurio e per scaldarsi. Allora come oggi, se i romanzi servono a vendere più giornali, un morto torna utile.

 

Nato nel Lower East Side, il padre di Jay Neugeboren aveva un “printing business” molto incerto. La madre nata a Williamsburg faceva l’infermiera. Entrambi immigrati dalla Polonia, si erano sposati nel 1936 a Bedford-Stuyvesant – nell’articolo c’è anche la fotografia, potrebbero essere usciti da “Café Society” di Woody Allen. Una Brooklyn che i genitori non riconoscerebbero, se la vedessero oggi – capita a Seth Rogen nel film “American Pickle”. Litigavano parecchio – una costante, dai romanzi dickensiani a Woody Allen, film e biografia. Molto somigliante alla moglie dell’impiegato Micawber in “David Copperfield”, la mamma strillava ma restava a presidiare il marito indebitato (fino a che fallì, trovando poi un posto fisso).

 

Dickensiano – nel senso di infelice e mal combinato – anche il matrimonio dei nonni. Il nonno avrebbe voluto sposare la sorella minore della nonna. Gli dissero: “Se sposi la figlia maggiore la dote sarà più generosa”. Lui accettò, ma era una finta: fatto il sacrificio, l’extra bonus non arrivò mai.

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