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I 70 anni di John Landis

Mariarosa Mancuso

Oggi il regista non potrebbe girare “I Blues Brothers”, e vediamo chi osa dirci che il mondo sarebbe migliore senza

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Oggi non lo potrebbe girare. Appropriazione culturale, vietato inventarsi una storia simile: due fratelli bianchi che per aiutare l’orfanotrofio rimettono insieme il loro gruppo di rhythm & blues – la musica degli americani neri per gli americani neri, ma siccome “black music” già allora pareva brutto, fu scovata un’etichetta più presentabile. Nel 1980 per fortuna si poteva. E vediamo chi oserà dire che il mondo sarebbe migliore, senza “I Blues Brothers”.

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Oggi non lo potrebbe girare. Appropriazione culturale, vietato inventarsi una storia simile: due fratelli bianchi che per aiutare l’orfanotrofio rimettono insieme il loro gruppo di rhythm & blues – la musica degli americani neri per gli americani neri, ma siccome “black music” già allora pareva brutto, fu scovata un’etichetta più presentabile. Nel 1980 per fortuna si poteva. E vediamo chi oserà dire che il mondo sarebbe migliore, senza “I Blues Brothers”.

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John Landis compie oggi 70 anni. John Belushi è morto due anni dopo il film (il fratello Jim dal 2015 coltiva legalmente marijuana, e lo racconterà nella serie “Growing Belushi”, dal 19 agosto su Discovery Channel). Dan Ayckroyd, che da ragazzo voleva fare il prete, poi ha cacciato gli spiriti maligni in “Ghostbusters” (che aveva sceneggiato assieme a Harold Ramis, il regista era Ivan Reitman) e ora commercia in vodka e tequila, dentro bottiglie a forma di teschio. La colonna sonora – c’erano Ray Charles, James Brown, Cab Calloway – e i Ray Ban neri resistono benissimo. Come il cappello e la cravatta stretta che forniscono uno dei più facili costumi da carnevale.

   

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Basterebbe, per entrare nella storia del pop. Ma John Landis ha messo a segno svariati altri successi, tutti del genere che esce dalla sale cinematografiche per correre nel mondo. Ha diretto “Un lupo mannaro americano a Londra”, con gli effetti speciali di Rick Baker, premiato con l’Oscar. Sono passati quarant’anni e restano spaventosi – per la prima volta la trasformazione da uomo a lupo avveniva in piena luce, con la macchina da presa sempre puntata sul malcapitato turista. Mai girare per la brughiera, mai fermarsi in un pub che ha scritto sull’insegna “L’agnello macellato”. Tra i due, il peggio conciato è Griffin Dunne, che si presenta all’amico in diversi stati di decomposizione (ha un favore da chiedergli, molto molto grosso).

       

       

Prima dei “Blues Brothers” c’era stato “Animal House”, e il mondo sarebbe triste senza l’urlo di John Belushi che invoca “Toga toga toga!” (sul manifesto ha anche una coroncina d’alloro, o facente funzione, appoggiata sulla testa riccioluta). Sta per “toga party”, con i lenzuoli addosso (in mancanza di cravatta, cappello e occhiali neri, questo travestimento è ancora più semplice e rapido). Prima di “Animal House”, Landis aveva diretto due film genuinamente demenziali come “Schlock” e “The Kentucky Fried Movie” (il nome viene dalla catena che vende pollo fritto). Il primo è una parodia dei film horror, con uno scimmione che vive in California – finale pronto per un sequel, “Son of Schlock”, che non si fece mai. L’altro è fatto di sketch, tra cui il cinema con “effetti speciali davvero speciali”: dietro ogni poltrona c’è un addetto, vestito da portiere d’albergo. Se in scena c’è una femme fatale, spruzza profumo. Se arriva l’assassino, punta il coltello alla gola dello spettatore.

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Ha lanciato Eddie Murphy e la sua risataccia, nel “Principe cerca moglie”. Ha diretto “Thriller” di Michael Jackson: altra mossa che ha rivoluzionato la storia dei videoclip (e di nuovo, i travestimenti di carnevale: non è una sciocchezza, quale altro regista può vantare tante imitazioni e parodie?). Ha tentato di spiegarci come funzionano i “futures” in “Una poltrona per due”, chiedendosi a margine se la natura prevale sull’educazione, o viceversa. “Ladri di cadaveri” è il suo ultimo film, liberamente ispirato a William Burke e William Hare: procuravano cadaveri per gli studi di anatomia, a Edimburgo tra Sette e Ottocento. Se non ne trovavano da disseppellire, li fabbricavano.

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