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La salute del popolo-re

Giulio Meotti

“Economia, libertà e vita: possiamo salvarne due. La privacy? Sacrificata ai social. La morte? Uno scandalo. No al sanitarismo”. Intervista al filosofo francese Tavoillot

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Un popolo bambino, riluttante ai limiti che gli vengono imposti e in preda a una crisi adolescenziale. E’ questa l’immagine che il filosofo francese Pierre-Henri Tavoillot ci consegna nel suo ultimo libro Comment gouverner un peuple-roi? (Odile Jacob). Direttore del College di Filosofia della Sorbona, nonché responsabile della collana filosofica della casa editrice Grasset, Tavoillot non hai mai ceduto alle sirene del declino occidentale. “Evitiamo di confondere l’ascesa della Cina con il declino dell’Europa”, dice al Foglio Tavoillot, già autore di Le Crépuscule des Lumières (Cerf, 1995) e altri saggi, fra cui uno sulla guerra fra generazioni. “In realtà, la debolezza della Cina è stata un’anomalia. Come civiltà millenaria, la Cina ha vissuto un momento di stanchezza nel XX secolo prima di riguadagnare il suo rango. E’ riuscita a farlo tornando al suo passato confuciano e appropriandosi dell’economia, della scienza e della tecnologia occidentali. Politicamente, il suo comunismo capitalista è un’applicazione del modello di ‘democrazia illiberale’ concepito e sperimentato a Singapore da Lee Kwan Yew (1923-2015), il fondatore della City-State. E’ una democrazia senza elezioni, dove le libertà individuali sono secondarie rispetto alla prosperità e al benessere. Di fronte a essa, le democrazie liberali si presentano in ordine sparso. Ci sono le democrazie asiatiche (Giappone, Corea, Taiwan), mentre gli Stati Uniti e l’Europa che non riescono a costruirsi come una vera potenza”.

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Un popolo bambino, riluttante ai limiti che gli vengono imposti e in preda a una crisi adolescenziale. E’ questa l’immagine che il filosofo francese Pierre-Henri Tavoillot ci consegna nel suo ultimo libro Comment gouverner un peuple-roi? (Odile Jacob). Direttore del College di Filosofia della Sorbona, nonché responsabile della collana filosofica della casa editrice Grasset, Tavoillot non hai mai ceduto alle sirene del declino occidentale. “Evitiamo di confondere l’ascesa della Cina con il declino dell’Europa”, dice al Foglio Tavoillot, già autore di Le Crépuscule des Lumières (Cerf, 1995) e altri saggi, fra cui uno sulla guerra fra generazioni. “In realtà, la debolezza della Cina è stata un’anomalia. Come civiltà millenaria, la Cina ha vissuto un momento di stanchezza nel XX secolo prima di riguadagnare il suo rango. E’ riuscita a farlo tornando al suo passato confuciano e appropriandosi dell’economia, della scienza e della tecnologia occidentali. Politicamente, il suo comunismo capitalista è un’applicazione del modello di ‘democrazia illiberale’ concepito e sperimentato a Singapore da Lee Kwan Yew (1923-2015), il fondatore della City-State. E’ una democrazia senza elezioni, dove le libertà individuali sono secondarie rispetto alla prosperità e al benessere. Di fronte a essa, le democrazie liberali si presentano in ordine sparso. Ci sono le democrazie asiatiche (Giappone, Corea, Taiwan), mentre gli Stati Uniti e l’Europa che non riescono a costruirsi come una vera potenza”.

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Tavoillot invita alla parsimonia nell’uso dei corsi e ricorsi storici. “Se confrontiamo questa crisi sanitaria con le pandemie del passato, come la Spagnola un secolo fa e quella di Hong Kong nel 1968, il tasso di mortalità è basso. Ma ha suscitato stupore in un momento in cui il nostro rapporto con la morte è cambiato. La morte è diventata uno scandalo! Il progresso della medicina ci aveva quasi convinti che avremmo potuto, se non abolirla, almeno negoziare una tregua con essa. E questo rimane in parte vero, perché l’aspettativa di vita continuerà ad aumentare. Eravamo convinti – io sono stato il primo – che il sistema globale potesse prevenire questo tipo di eventi. Di fronte a questa orgogliosa impreparazione, non ce la siamo cavata male, anche se, con il declino della crisi sanitaria, si profila un terribile choc economico”.

 

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L’ipercriticismo secondo Tavoillot è un nostro punto di forza. “Francia e Italia sono molto simili in quanto siamo popoli ‘iper autocritici’. Amiamo odiarci, ma allo stesso tempo siamo animati da grande orgoglio, addirittura vanità per i francesi. Niente del genere tra i cinesi o gli americani. Questo dubbio è uno dei grandi punti di forza della civiltà europea, che è sempre stata critica. Si comincia con Omero, che dipinge un ritratto poco lusinghiero dei greci, di cui tuttavia racconta la storia epica. E non si è mai fermata: la critica cristiana a Roma, la critica umanistica al cristianesimo, la critica ‘moderna’ alle scienze umanistiche antiche, la critica reazionaria e iper rivoluzionaria ai diritti umani, la critica occidentale all’occidente coloniale… L’occidente non ha mai lasciato ad altri il compito di denunciarlo. Questa è la sua forza e la sua debolezza. Le nostre democrazie liberali sono state costruite contro i poteri assoluti, i re e le religioni. Questa sfiducia nel potere ha portato alla sua divisione e alla sua limitazione. Contro gli abusi di potere, abbiamo moltiplicato i contrappesi. Oggi si rischia, credo, l’abuso di contropotere! Ciò che rende la Cina attraente è l’idea che essa incarni l’efficienza. Ciò che minaccia le democrazie è il crescente sentimento di espropriazione. Tuttavia, credo che le nostre democrazie liberali siano attrezzate per affrontare questa formidabile sfida, che richiede di coniugare il rispetto delle libertà individuali con la richiesta di potere collettivo e la difesa degli interessi nazionali. Ma l’equilibrio è molto difficile da trovare e, ancor più, da incarnare”.

 

Va di moda citare Michel Foucault. “Il concetto di ‘biopotere’ è di moda, ma mi sembra molto confuso e spesso favorisce una visione paranoica del potere. Perché la preoccupazione per la medicina non viene solo dallo stato, ma dalla società nel suo complesso”. E’ ciò che Tavoillot chiama “sanitarismo”. “E’ la tentazione di sacrificare tutto sull’altare della salute pubblica”, prosegue. “Questo è un punto sul quale dobbiamo essere molto vigili, perché ha un lato chiaro e uno oscuro. E’ la smentita sprezzante di tutti coloro che hanno parlato della nostra società come capitalista e consumistica. Siamo noi ad aver deciso di interrompere ogni attività sociale ed economica per preservare la salute, soprattutto degli anziani! Ma dall’altro lato la ‘salute’ rischia di traboccare da tutte le parti. Se prendo la definizione dell’Oms di salute – ‘uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale’ – mi dico non solo che non sto andando bene, ma che sarà difficile porre dei limiti a questo ‘diritto alla salute’. Diventa non solo un diritto, ma anche un dovere. Perché, con tutto quello che la società fa per la mia salute, ho il dovere di preservarla, non tanto per me stesso quanto per gli altri. Il comportamento ‘cattivo’ (fumare, bere, tossire…) diventa così una colpa, come nel romanzo Erewhon (1872) di Samuel Butler, in cui i malati vengono trattati come criminali. In breve, è in nome della salute che le libertà sono più suscettibili di essere sacrificate. E si potrebbe aggiungere che diventa sinonimo di salvezza in un tempo di declino religioso. Oggi, infatti, i divieti alimentari non sono più dettati dalle chiese, ma dai medici; così come i riti e le preghiere. ‘La salute o la morte’, si potrebbe dire! La salute come diritto, dovere e salvezza: ecco cos’è il ‘sanitarismo’, a cui bisogna porre dei limiti senza rinunciare ai benefici. Perché la regressione delle libertà non viene mai dall’alto senza la complicità del basso, cioè di noi stessi. E’ così dai tempi della ‘servitù volontaria’ di Etienne de la Boétie. Ascolteremo i disfattisti che, coltivando l’odio verso se stessi, ci farebbero quasi dubitare di essere ancora vivi?”.

 

In questa crisi, i politici si sono confrontati non con un dilemma, ma con un triplice dilemma: “Protezione della salute, rispetto delle libertà e promozione della prosperità. I regimi autoritari hanno scelto la salute e la prosperità a spese delle libertà. I regimi ‘liberali’ (Stati Uniti) hanno preferito la prosperità e le libertà alla logica della salute. I modelli socialdemocratici europei hanno privilegiato la salute e la libertà rispetto alla prosperità ”.

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Secondo Tavoillot, siamo animali difficili da governare. “Il cittadino delle democrazie ipermoderne chiede allo stato sempre più libertà e sempre più protezione. In nome delle libertà, denunciamo giustamente la negligenza burocratica e normativa che ci impedisce di fare ciò che sembra urgente e ovvio. Ma in nome delle libertà, siamo riluttanti ad affidare allo stato i dati che offriamo con generosa negligenza non appena apriamo Gafam”.

 

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La democrazia è un regime “ingannevole”, assurdo e incomprensibile. “Non può che deludere, perché le sue promesse sono infinite e non hanno alcuna possibilità di essere mantenute: non saremo mai totalmente liberi, assolutamente uguali e costantemente fraterni. E’ assurdo, perché come possiamo vedere la coerenza di un regime in cui chi è al potere deve seguire il popolo che dovrebbe guidare? E’ incomprensibile, perché poggia su una base non rintracciabile – il popolo – che tutti affermano di essere, ma che nessuno ha mai incontrato. E così, su questa base, la vera sorpresa non è tanto che la democrazia non funziona bene, quanto che possa funzionare un po’. Il ‘governo del popolo, dal popolo, per il popolo’, secondo la famosa formula di Lincoln, può essere ‘il peggiore dei regimi eccetto tutti gli altri’, secondo un’altra famosa formula (Churchill), ma è comunque piuttosto misterioso. Quindi, prima di pensare di reinventare la democrazia, dovremmo finire di scoprirla”.

 

E qui si arriva al “popolo-re”. “Dobbiamo partire da questa semplice domanda: chi sono le persone? Quando lo chiedete, sperate di trovare la risposta all’angolo della strada, nei parlamenti, nelle redazioni o nelle manifestazioni, ma il popolo non c’è! Cercheremo allora i ‘nemici del popolo’ sperando di trovarlo grazie al suo opposto, le élite o gli assistiti, gli immigrati o gli iper ricchi. Un altro fallimento! E’ allora che arriva colui che dice: ‘Il popolo sono io’. Ci crederemo per un momento prima di vedere l’inganno. Per uscire da questa situazione di stallo, i padri fondatori delle moderne democrazie hanno avuto la saggezza di affermare che il popolo non aveva una, ma tre facce. La società, cioè tutti gli individui che vivono insieme intrecciando diversi tipi di legami (amicizia, economici, legali). Poi c’è lo stato, cioè gli individui che non solo vivono insieme, ma che vogliono vivere insieme a lungo termine. Infine, l’opinione pubblica, cioè quegli individui che, vivendo e volendo vivere insieme, discutono insieme come sperano di raggiungere questo obiettivo. Vivere insieme, voler vivere insieme e discutere insieme: queste tre facce del popolo, nella loro diversità, ci immunizzano – in linea di principio – contro ogni ‘mistica del popolo’. Ma questa soluzione pone un altro problema: come pensare alle relazioni tra queste tre figure di persone? Complementari, sono anche in competizione tra loro. Così, l’ipertrofia della società produce la tentazione anarchica; l’ipertrofia dello stato porta all’incubo tecnocratico; l’ipertrofia dell’opinione pubblica porta alla ‘mediacrazia’ e all’abominevole regime della ‘trasparenza’ … queste sono le malattie croniche delle democrazie liberali”.

 

E’ per rispondere a questa sfida che Tavoillot introduce una quarta categoria: “È per affrontare questa sfida che propongo un quarto popolo: il popolo-metodo, che designa non un volto, ma una ‘capacità collettiva di agire’. E’ quello delle ‘regole del gioco’ che consentono alle tre figure del popolo (società, stato, opinione) di funzionare correttamente. Ed è nel rispetto di queste regole del gioco che possiamo certamente riconoscere il popolo della democrazia, non nell’ideale, ma nell’azione. Queste regole del gioco sono semplici da formulare e consentono di identificare con certezza la presenza di un popolo democratico. Perché esista, ci devono essere elezioni, deliberazione pubblica, decisioni e responsabilità. Se manca solo uno di questi passaggi, la democrazia fallisce e il popolo scompare”.

 

Questa crisi ci rende consapevoli dei nostri punti di forza e di debolezza. “Il sistema sanitario ha retto abbastanza bene, i cittadini hanno obbedito, le istituzioni hanno funzionato, il nostro spazio pubblico ha dimostrato vitalità e maturità, sono stati messi in funzione potenti meccanismi di solidarietà (stato, associazioni, individui) e la crisi ha stimolato l’inventiva. Siamo molto lontani dal crollo. E molto lontani dal dover pretendere che ‘nulla sarà più come prima’. Resta il fatto che non tutto ha funzionato in modo ottimale, a dir poco. Eravamo troppo sicuri di noi stessi! Un pizzico di umiltà non è una brutta cosa. L’obiettivo non dovrebbe essere quello di accusare o condannare – che senso ha? – ma di trarre lezioni collettive per il futuro. Spero che la nostra democrazia migliori nella difficile – ma vitale – arte della responsabilità collettiva”.

 

Tavoillot ha una spiegazione per il caso delle case di cura travolte dal virus. “La vecchiaia fa paura, la dipendenza terrorizza. Di fronte a questa ansia, la nostra società ha fatto una scelta: quella di non lasciare il proprio peso alla famiglia, ma a istituti specializzati. Questa delega dell’ansia ha un costo: un forte senso di colpa. Così forte che incapace di sopportarlo, le famiglie e la società preferiscono che le case di cura siano il colpevole. Siamo alla ricerca di capri espiatori per le nostre rinunce”.

 

Rimarrà comunque una grande debolezza dopo questa crisi: “Il livello di indebitamento dei nostri paesi, che è molto alto, e diventerà gigantesco. Questo debito sembra astratto, ma, crisi dopo crisi, cresce, riducendo i margini di manovra. Perché questo debito non è solo denaro, è politica: sono strategie per il futuro, investimenti per l’ambiente, sostegno all’innovazione, garanzie per la sicurezza, il benessere e la solidarietà di domani. Mette in gioco il destino dei nostri figli e dei nostri nipoti, verso i quali abbiamo un dovere: dare loro il desiderio di crescere e di andare avanti nel mondo. Un dovere che tutti coloro che predicano l’odio del presente tradiscono, perché è l’odio del presente che distrugge il futuro”.

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