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Istanbul raccontata da Elif Shafak, sospesa tra il sogno e l’infelicità

Chiara Clausi

La scrittrice turca è tra i finalisti del Booker Prize con “I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo”

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Istanbul è “la città delle stranezze e delle meraviglie”, una città-donna, “una donna ferita, sfregiata e maltrattata, ma che ha l’energia, le capacità e lo spirito per rinnovarsi”. Questa è la Istanbul di Elif Shafak, la città in cui si è trasferita a vent’anni, dove è diventata una scrittrice affermata, dove sono nati i suoi due figli. Istanbul, con la sua magia senza tempo, l’ha accompagnata nella sua vita e nel suo destino di scrittrice, fino al suo ultimo libro “I miei ultimi 10 minuti e 38 secondi in questo strano mondo” (Rizzoli), che l’ha proiettata tra i finalisti del Booker Prize. Istanbul, segnata dai contrasti che quasi si toccano, diventa materia e immaginazione, città unica, è sopravvissuta a mille guerre e assedi, ma adesso affronta una minaccia ancora più insidiosa, populismo, autoritarismo. “Bellezza e bruttezza, divertimento e tristezza, reale e surreale, vecchio e nuovo, gli opposti si mescolano sempre a Istanbul. E’ la forza della città, i suoi contrasti”. Ora lo strapotere del presidente turco Recep Tayyip Erdogan potrebbe soffocare e reprimere le sue incalcolabili energie. “Vorrei poter dire che la sua vitalità culturale e sociale non è stata colpita nonostante il crescente populismo e autoritarismo. Ma invece lo è stata. Il populismo corrompe tutto”.

 

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Istanbul è una città dai grandi conflitti, anche in questo. “Da una parte troverai molti progressisti, democratici, liberali. D’altra parte, vedrai un crescente conservatorismo, patriarcato, nazionalismo, autoritarismo. Tutti questi elementi vivono fianco a fianco nella stessa metropoli”. Anche la recente vittoria di Ekrem Imamoglu, il sindaco anti Erdogan, sta lì a dimostrarlo. Shafak ricorda che “è stato meraviglioso vedere donne e uomini danzare per le strade, con gioia”. Ma la relazione dell’autrice con Istanbul è complicata, a volte ambivalente. “C’è un profondo attaccamento emotivo nel mio cuore alla città. Ma allo stesso tempo, non potrei mai stabilirmi completamente a Istanbul, sono sempre stata una nomade, un’estranea, un po’ una disadattata”. La città è stata spesso soggetto di ispirazione creativa per Shafak. Ma la scrittrice ricorda che “la storia di Istanbul può essere raccontata solo attraverso l’umorismo e il dolore insieme”. Istanbul insegna anche a guardare al di là del nostro piccolo recinto. La scrittrice infatti ricorda l’importanza di andare oltre le nostre tribù, oltre la comfort zone, oltre i ghetti culturali. E sottolinea come “la letteratura è un ottimo modo per viaggiare e incontrare persone che altrimenti non incontreremmo. Ed è capacità di pensare con occhi diversi”.

 

 

E’ in fondo la storia del suo ultimo libro. Leila cresce in una famiglia con due madri e un padre, senza sapere bene quale di queste due donne sia la sua madre biologica. Ci sono molte famiglie poligame nel mondo, ed “è molto doloroso per le donne vivere in questo tipo di relazione. E le storie di queste donne e questi bambini spesso non vengono ascoltate”. Per quanto riguarda la maternità Shafak la definisce “una bella benedizione, un miracolo meraviglioso”. Ma avverte che “non si diventa automaticamente una madre o un padre il giorno della nascita del tuo bambino, ma ogni giorno si impara”. E’ “bellissimo”, ma questo non vuol dire sminuire le donne che non vogliono avere figli o che vogliono adottare o che non sono ancora sicure di ciò che vogliono. “L'importante è trovare il percorso più vero per i nostri cuori”, afferma.

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Ma ciò che ci dice il cuore, i sogni, spesso conducono all’infelicità. “Abbiamo bisogno dei sogni. I sognatori sono i ribelli – spiega la scrittrice – Ma allo stesso tempo dobbiamo bilanciare quei sogni con altre cose. Mi piace ripetere cosa ha detto in proposito Antonio Gramsci. Bisogna procedere con il pessimismo dell’intelletto e l’ottimismo della volontà”. Ma sottolinea come un’altra salvezza possa essere la letteratura anche se il suo esercizio nasconde profonde difficoltà. “Scrivere per me è una meditazione. E’ un profondo viaggio interiore. Ogni volta che inizio un nuovo romanzo affronterò sempre sia il mio lato oscuro che il lato positivo. Non spazzo i demoni sotto il tappeto o li nascondo. Se sei una scrittrice devi affrontare i tuoi demoni tutto il tempo. Ma quando lo fai, loro diventano i tuoi ‘amici’, in un certo senso, piuttosto che i tuoi mostri”. Leila era una prostituta, una innocente ripudiata dal mondo. Il libro sembra un inno all’innocenza, ai puri senza alcun pregiudizio. “Penso che l’innocenza riguardi principalmente l’onestà. Essere sinceri con se stessi. Su chi sei. Per non fingere di essere qualcuno o qualcos’altro. L’onestà è così importante. E il modo migliore per esplorarla è attraverso l’arte e la letteratura”.

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