La memoria non sta ferma È fatta per svanire, sempre

Marco Archetti

C’è una poesia di Wislawa Szymborska intitolata “La fine e l’inizio” che spiega questa sconfitta e che racconta di come, dopo una guerra, ci si debba dar da fare per ripulire, spingere le macerie ai bordi delle strade

Si fa un gran parlare di Memoria, il che dimostra quanto sia (siamo) in crisi. E premesso che, storicamente, non ho ancora capito quale sia il giusto equilibrio tra memoria e oblio, e se lo si possa trovare, il problema è considerevole anche da un punto di vista letterario. Il racconto serve agli uomini per sapere chi sono, da quando esistono. Il racconto conserva e preserva: viva il racconto! Addirittura, ne “La verità delle menzogne”, Mario Vargas Llosa rivendica con forza l’autorevolezza della narrativa in sede di valenza storica, perché seppur muova da diverse prospettive e agisca con diversi mezzi rispetto alla storiografia, non sta scritto da nessuna parte che “Il mondo di ieri” di Stefan Zweig sia meno capace di raccontare rispetto a un saggio in materia. Poi, certo, un romanzo si fa carico anche di altro, e soprattutto di quello che Johann Wolfgang von Goethe cantò così (Zweig appunta questi versi nel primo capitolo): “Cresciuti in intima, raccolta quiete / siamo gettati a un tratto nel mondo / battuti da onde innumerevoli / Tutto ci invoglia / qualcosa ci piace / qualcosa ci irrita e di ora in ora / ondeggia il nostro animo eccitabile”.

 

Gli uomini e la Storia – tema immane. Viene in mente un altro gigante di quella letteratura spesso invocata come sortilegio contro la perdita della Memoria, Ivo Andricć, che coi suoi straordinari “Il ponte sulla Drina” e “La cronaca di Travnik” ha dato sostanza letteraria a un popolo, a una terra, a secoli di umanità. Oppure Elsa Morante, che la Storia la rifà raccontando (di una madre e di due figli). E Primo Levi, grandissimo scrittore che tardammo a scoprire come tale perché schiacciato dal suo stesso macigno, che con “Se questo è un uomo”, “La tregua” e alcune esemplari raccolte di racconti ha plasmato un mondo che si serve dei mezzi della letteratura per servire la Memoria. Tuttavia – penso io – uno scrittore è uno scrittore, ossia uno che non sa niente (chi lascia intendere il contrario va radiato dai nostri interessi), ossia uno che si fa forza con la sua debolezza. Uno scrittore è uno che non è specializzato in niente, che non conosce niente per bene, e per di più è uno sconfitto in partenza perché c’è un nucleo profondo dell’esperienza umana che resta del tutto intraducibile, una verità invalicabile pur opponendole tutte le forze dello spirito e dell’ingegno: e cioè, che tutti noi siamo ciò che sarà impossibile raccontare e tramandare.

 

E la memoria, poi… cosa vuol dire memoria? La memoria non sta mai ferma. La memoria – come ogni nostra opera – è fatta per svanire. C’è una poesia di Wislawa Szymborska intitolata “La fine e l’inizio” che spiega questa sconfitta e che racconta di come, dopo una guerra, ci si debba dar da fare per ripulire, spingere le macerie ai bordi delle strade, far passare i carri pieni di cadaveri, sprofondare nella melma per ricostruire. Intanto passano anni di solitudine, di lavoro anonimo e necessario, mentre le telecamere delle tv sono tutte puntate altrove, su un’altra guerra. Rifare ponti, stazioni, città intere, le maniche a brandelli a furia di rimboccarsele: quelli con la scopa in mano ricorderanno per anni quel che è successo, ma presto arriveranno altri che troveranno questi racconti un po’ noiosi, arrugginiti, buoni per il mucchio dei rifiuti, fino a che coloro che sanno di cosa si trattava dovranno per forza far posto a coloro che ne sanno poco. E meno di poco. E assolutamente nulla. Infine: “Sull’erba che ha ricoperto / le cause e gli effetti / c’è chi deve starsene disteso / con una spiga tra i denti / perso a fissare le nuvole”.

 

Cosa ricordiamo, quando ricordiamo? E qual è il momento esatto in cui il ricordo deve cedere per non ritorcersi contro se stesso o – macroeterogenesi – contro il futuro di un popolo? Scrivere è trattenere o lasciar sfuggire quasi tutto, illudendosi del contrario? La vita sarà possibile finché sapremo ricordare o dimenticare?

 

Una sera di qualche estate fa camminavo per Vukovar, la città in cui prese fuoco la miccia che fece divampare la spaventosa guerra in Yugoslavia. Lungo le strade che avevano visto macelleria e orrore, si affacciavano piccoli bar alla moda e placidi orizzonti fluviali – il Danubio non proprio blu. Mentre pensavo a tutto questo, seduta a un tavolino, c’era una ragazza che stava allattando un bambino, e gli sorrideva. “Lei sa”, ho pensato guardandola. “E lui avrà la sua spiga”. Poi – mi son detto con sollievo – qualcuno racconterà l’una e l’altro. Così saremo per sempre salvati, anche se non saremo mai salvi.

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