Foto di Fondazione Cariplo

Le amate stanze del duca

Giuseppe Fantasia

Palazzo Melzi d’Eril a Milano, casa museo per un’eclettica e preziosa collezione d’arte. E’ anche la sede della Fondazione Cariplo, che il presidente Giuseppe Guzzetti lascerà dopo 22 anni

Passeggiare per Milano, “la città dove si vive meglio in Italia”, uscire dal Teatro alla Scala dopo l’Ottava di Bruckner diretta da Zubin Mehta tenendo però ancora la mente e il cuore a “Woolf Works”, l’evocazione speciale di Virginia Woolf secondo Wayne McGregor, interpretata magistralmente da Alessandra Ferri. Imboccare via Manzoni tra una libreria che resiste e vetrine colorate o minimali, il mondo di Armani, sciure vere o presunte, paparazzi e turisti. La frenesia si accompagna al rigore, all’ordine, alla puntualità di chi lì ci vive, artefice, assieme alla sua amministrazione, di tanta efficienza che non è soltanto un luogo comune, ma una piacevole e sorprendente verità. Lasciarsi alle spalle gli archi di Porta Nuova, finire su piazza Cavour tra feritoie per far passare i tram, i taxi, le macchine e altre persone. Imboccare via Manin con i giardini Montanelli sulla destra e arrivare alla meta: un enorme portone che – come succede spesso da queste parti – racchiude un mondo a sé, protetto da sguardi indiscreti e da ogni tipo di caos.

 

Francesco Melzi d’Eril, affetto da una gotta inguaribile, si ritirò a vita privata nel palazzo, geloso delle opere d’arte e della biblioteca

Tiepolo, Carlevarijs, Ciardi: una collezione d’arte che raccoglie autori di epoche e gusti diversi, dal Sette all’Ottocento, fino ai moderni

Siamo a Palazzo Melzi d’Eril, sito in quella contrada che un tempo era chiamata “cavalchina”, perché vicina alla dimora della famiglia Cavalchino, ma la sua storia è legata a quella famiglia che gli dà il nome, una delle più antiche dinastie nobili del capoluogo lombardo. La dimora fu acquistata durante il periodo napoleonico da Francesco Melzi d’Eril, duca di Lodi, che vi morì il 15 gennaio del 1816, passando poi l’eredità al pronipote Lodovico, il quale provvide a una totale riedificazione. Intorno al 1840, fu Giacomo Moraglia a occuparsi del rifacimento dell’intero fronte, comprendente un portone arcuato decorato da una protome con figura di Ercole e con draghi, mentre la facciata è rivestita di granito rosa. Attraversato il portone, arriviamo al cortile a pianta rettangolare con il portico architravato a colonne doriche e lì, davanti a noi, di fronte all’ingresso e in un vano aperto, troviamo il busto marmoreo di quel personaggio a suo modo singolare che era Francesco Melzi d’Eril.

 

Vice presidente della Repubblica Italiana dal 1802 alla trasformazione della stessa in Regno a opera di Napoleone tre anni più tardi, Melzi d’Eril agevolò l’ammodernamento dell’amministrazione con l’apertura degli incarichi pubblici a tutti i cittadini senza differenze di censo e il concordato del 1803. Lo si ricorda per la sua “benevolenza costante”, per la sua grande cultura, preparazione e gran gusto nonché per essere stato autore di diversi carteggi. Affetto da una gotta inguaribile, si ritirò a vita privata proprio in questo palazzo, gelosissimo delle opere d’arte ivi contenute e della sua considerevole biblioteca, negandosi completamente ai visitatori.

 

Strana davvero la vita: dopo essere divenuto “Luogo del Cuore” del Fai, il Fondo ambiente italiano, che lo ha fatto visitare in anteprima durante le sue “Giornate di primavera”, adesso, per volere proprio della Fondazione Cariplo – il principale ente filantropico in Italia che qui da anni ha la sua sede – chiunque può visitare, su prenotazione, questo posto a dir poco speciale, un museo vero e proprio che, per certi versi, è anche meglio di tanti musei riconosciuti come tali. Il suo interno è stato rinnovato dall’architetto milanese Giacomo Moraglia con l’eliminazione di qualunque particolare di gusto neoclassico, a favore di una maggiore fastosità del salone e di una nuova sistemazione degli appartamenti privati per renderli più funzionali.

 

“Dal 1991 la Fondazione è impegnata nel sostegno e nella promozione di progetti nel campo dell’arte e della cultura, dell’ambiente, della ricerca scientifica e del sociale dedicandosi a chi è in difficoltà con già trentamila progetti di organizzazione no profit realizzati”, ci spiega Giuseppe Guzzetti, presidente uscente (il 28 maggio prossimo verrà nominato il nuovo consiglio di amministrazione) dopo ventidue anni, per lui e per molti indimenticabili. “La Fondazione – aggiunge – ha sempre agito mettendo in pratica un alto esempio di mecenatismo moderno, affidando alla cultura il ruolo di innovatore e facilitatore di nuove opportunità di sviluppo”.

 

Ci riceve a colazione, in perfetto stile milanese, minimale e con gran gusto, distaccato quanto basta ma a suo modo partecipativo. “La cultura – precisa – è per noi un potente strumento di inclusione sociale e di crescita personale”. Negli anni, infatti, la Fondazione ha scelto di ampliare la propria azione passando dal sostegno di operazioni di esclusivo restauro, alla promozione di pratiche di buona gestione e conservazione dei beni culturali, intervenendo, in dieci anni, su oltre quattrocento beni storico-architettonici. Non è dunque un caso se in un posto del genere c’è una collezione d’arte “d’eccellenza” – come viene definita nel catalogo pubblicato con la casa editrice Skira – caratterizzata dall’assenza di un progetto unitario, tipico invece delle gallerie costruite secondo gli orientamenti del collezionismo privato. Con l’aiuto della storica dell’arte Paola Zatti, iniziamo il nostro tour partendo dal giardino esterno, ripercorrendo secoli di storia e di bellezza fino alla scalinata che porta al piano nobile con i suoi soffitti decorati, tra giochi di luce, di specchi e piacevoli sorprese, come le opere di Giambattista Tiepolo appese alle pareti della sala riunioni. Il Cacciatore a cavallo e il Cacciatore con cervo sono due tele che facevano parte di un ciclo di dipinti raffiguranti le Storie di Zenobia, commissionato all’artista dal nobile Alvise Zenobio per la sua dimora nella città lagunare in occasione delle nozze con la nobildonna veneziana Alba Grimani, avvenute nel 1718. Di forte impatto visivo, colpiscono per la tavolozza ricca di colori definita da forti contrasti chiaroscurali. Avvicinandovi il giusto, noterete una certa libertà compositiva nella leggerezza con la quale le figure sono definite, oltre all’elegante ricerca del movimento che appare nel modo in cui il cavaliere si rivolge allo spettatore mentre la testa del cavallo compie lo stesso gesto, ma in senso opposto. Il Capriccio con scene di vita in una città portuale (1710 circa) di Luca Carlevarijs – poco distante – coinvolge per il rigore della costruzione scenica. La costa in esso dipinta descrive un arco di cerchio sulla sinistra caratterizzato, in primo piano, da un episodio di vita quotidiana con i mercanti che entrano ed escono dalla città con i loro animali da soma. Sul vicino e alto piano intermedio, c’è una porta di accesso con alte mura da cui emergono torri di diversa misura e una cupola di una chiesa, mentre, sulla destra, un nobile di spalle dà ordine ad alcuni marinai intenti a caricare una barca mentre altri uomini si azzuffano a bordo.

 

La cultura, per il presidente della Fondazione, è un elemento “innovatore e facilitatore di nuove opportunità di sviluppo”

Un’azione passata dal sostegno di operazioni di solo restauro alla promozione della buona gestione e conservazione dei beni culturali

La meraviglia è oramai una costante nella nostra passeggiata tra quelle stanze che ci porta fino al Pescatore in laguna, realizzato da Guglielmo Ciardi tra il 1880 e il 1885. Raffigura un giovane pescatore nel pieno azzurro del mattino, intento a raccogliere la rete mentre avanza verso la riva con l’orizzonte appena accennato da macchie di colore, simboli di una città in lontananza e di una laguna attraversata da alcune barche descritte da rapidi tocchi. Scendendo al pian terreno, vicino all’ingresso, ad attirare il nostro sguardo sono La Gloria e Minerva realizzati da Achille Funi nel 1940, due cartoni preparatori per il soffitto della sala riunioni (ora sala Funi) realizzate in un momento di grande notorietà dell’artista che in quegli anni aveva la cattedra di affresco all’Accademia di Brera. Fu lui il fondatore della rivista Il Novecento Italiano nel 1933 e fu pure tra i primi a sottoscrivere il Manifesto della pittura murale di Mario Sironi, che aveva contribuito ad orientare l’arte italiana verso una dimensione politicamente più vicina all’arte di stato. Pittore decoratore, come dimostrano i suoi lavori al Palazzo dei congressi di Roma e per la Triennale di Milano, Funi è presente a Palazzo Melzi d’Eril con questi due carboncino a tempera di grandi dimensioni in cui la Gloria porta la corona d’alloro mentre la Minerva, riconoscibile dallo scudo, è raffigurata seduta a simboleggiare la pace e con essa la cultura che qui è una “cultura della conservazione”.

 

“Tutta questa bellezza innesta un processo virtuoso che ci auguriamo possa essere apprezzato da quante più persone possibili”, conclude Guzzetti prima di salutarci, ricordandoci quello che è il modello vincente della Fondazione Cariplo, ben spiegato anche nel Quaderno 29 dal titolo: “Conoscere per conservare. Dieci anni per la Conservazione programmata”. Esso sintetizza le riflessioni, le esperienze e le metodologie che hanno portato la Fondazione ad avviare un percorso che si presenta come modello da applicare in molteplici contesti in Italia ponendo le basi per un approccio che tenda a salvaguardare sempre di più interi territori. Un processo interessante e fondamentale che coinvolge in maniera sinergica tutti gli attori e addetti ai lavori – collettività ed enti compresi – affinché possano a vario titolo “partecipare alla conservazione in maniera attiva”, “esserne consapevoli” ma, soprattutto, “creare valore”.

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