La contemporaneità di Artissima, che compie 25 anni

Fino a domenica 4 novembre, a Torino, l'unica fiera italiana dedicata all'arte contemporanea: 200 gallerie e 60 espositori provenienti da 35 Paesi

Giuseppe Fantasia

Torino Una donna in piedi è ancorata ad una parete: non ha nulla addosso e i suoi capelli lunghi e intrecciati come rami le impediscono di muoversi. Strilla, ma i suoi acuti, più che ricordare drammi, sono più vicini al canto di una sirena che con la sua melodia attira, ammalia e conquista chi le sta intorno, un po' come le figure mitologiche incontrate da Ulisse. All'improvviso, riesce a liberarsi, si veste e inizia a muoversi da una parte e dall'altra cercando il suo centro. “L'uomo non esiste senza la donna. Volevo che la donna fosse dominante”, ci spiega l'autore di questa performance senza titolo, Thomas De Falco, l'artista a cui la Triennale Design Museum di Milano dedicò lo scorso anno “Nature”, una suggestiva - è il caso di dirlo - retrospettiva tra arazzi e performance dal vivo. Con la sua sirena della modernità ha inizio la nostra visita ad Artissima, l'unica fiera italiana dedicata al contemporaneo che quest'anno compie venticinque anni. Grazie alla direttrice Ilaria Bonacossa tutto è pronto o quasi all'Oval Lingotto, l'ex Oval Olympic Arena dove, nel 2006, venne ospitata la ventesima edizione dei Giochi Olimpici invernali. Oggi, tra vetri trasparenti che lasciano passare la luce grigia che c'è al di fuori, al posto delle gare di pattinaggio ci sono migliaia di persone tra artisti e galleristi, vip o presunti tali, addetti ai lavori o semplici invitati e curiosi, ma al posto di Chiamparino c'è la Appendino, la sindaca meno amata qui in città anche da chi l'ha votata, altro che la Raggi.

 

Sono 200 le gallerie e 60 gli espositori provenienti da 35 Paesi e il fil rouge di quest'anno è il tempo - “Time is on our side – Il tempo è dalla nostra parte” - “inteso però non come statica cristallizzazione del ricordo e della celebrazione”, tiene a precisare al Foglio la direttrice, ma proposto come un flusso dinamico in grado di imprimere il ritmo del cambiamento e preservando la sospensione temporale dell’emozione dell’opera d’arte”. Il nostro lo passiamo con la fotografa Angela Lo Priore, guida speciale di questa fiera torinese, ma già con la mente a Paris Photo, dove la settimana prossima presenterà in anteprima “Stair Obsession”, il suo nuovo lavoro fotografico dedicato proprio all'ossessione delle scale, uno sguardo elegante sulle emozioni profonde, sulle vertigini e sulla vulnerabilità femminile valorizzato dall'utilizzo del bianco e del nero. Con lei,a fatica ma con piacere, tra un saluto e l'altro, ci muoviamo tra stand dove opere di artisti emergenti si incontrano, si mescolano, si scontrano e si amalgano di nuovo con quelle di artisti più affermati e viceversa, fin quasi a confondersi.

 

Da Francesca Minini le foto in bianco e nero di Jacopo Benassi sono poco distanti dai puzzle futuristici di Stefano Arienti; da Monica De Cardenas, invece, i nuotatori di Katherine Bradford anticipano il mondo meraviglioso e acquatico di Alex Katz, dove tutto dipende dallo sguardo intenso ed ammirato di una donna con un cappello bianco. Da Ribot, la galleria creata a Milano da Monica Bottani all'insegna di ricerca, qualità ed originalità, ci sono dipinti – come quelli di Marco Reichert in bianco e nero e da lui realizzati con macchinari in grado di produrre dei segni come fossero dei tappeti – ma non mancano le sculture – come quelle di Oren Pinassi, che più che sculture “sono anime di metalli, gesso, iuta e pigmento”, ci fa notare la nostra guida, “opere che sottolineano lo stupore e l'ambiguità, impreziosite dall'utilizzo di specchi”, come potrete ben notare soffermandovi ad ammirare l'orinatorio grigio. Valerio Tazzetti e la sua torinese Photo Contemporary ci accolgono invece con le case chiuse fotografate da Pablo Balbontin Arenas, artista spagnolo con una laurea in giornalismo che con la serie “Media Hora” illustra quei luoghi con un occhio diverso, durante il giorno, quando sono chiusi al pubblico e quasi impercettibili, mimetizzati nell'ambiente urbano e confusi con la luce forte, ben lontana da quella a neon della notte. Il suo è “un esercizio di responsabilità e di comprensione di una verità quasi invisibile”, ci spiega, in cui le donne sono recluse e senza documenti ma pronte a tutto pur di riconquistare la libertà ottenuta indebitandosi con l'organizzazione criminale che le ha portate in Europa.

 

Lo scozzese David Yarrow è invece un fotografo naturalista che da anni fa ricerca negli angoli più selvaggi ed incontaminati del pianeta. Ama incontrare gli animali più feroci, ma non sa cosa sia la paura. Li fotografa nelle situazioni più estreme ma alla fine è sempre la sua poeticità ad emergere. “Un fotografo – precisa lui che è considerato il più importante fotografo di “Wild-Life” al mondo – non potrà cambiare le cose da solo, ma è necessario fare tutto il possibile per cercare di trovare la bellezza in un mondo marginale, affetto da cambiamenti climatici epocali che stiamo perdendo”. Stefania Fersini, classe 1982, fuseaux e sneakers colorate, è attratta dall'aspetto meditativo dell'esecuzione pittorica e ama usare la mimesi e l'illusione. In fiera ha portato pannelli celesti da cui emerge una sedia che sembra vera, ma è solo dipinta, scenografie speciali, le sue, che considerano lo spazio come un medium in sé. Attira la nostra attenzione la serie di quadri di Filippo di Sambuy - che per trent'anni si è interrogato sulla genesi e la trasformazione dei simboli e su come essi agiscano nei diversi sistemi di conoscenza della Creazione. Da sempre interessato alla natura del simbolo come ponte tra una verità intangibile e una forma capace di darle consistenza sensibile, l'artista presenta qui a Torino “Il Libro dello Splendore” (Sefer ha-zohar), testo fondamentale della tradizione cabalistica, attraverso gli schemi dedicati all'albero della Vita che è uno dei simboli attorno ai quali si raccoglie la comunità ebraica.Il risultato è sorprendente.

 

Pepper”, l'olio e pastello realizzato dal cinese He Wei, attira la nostra attenzione negli spazi della Galleria Primae Noctis di Primo Marella, che da Lugano è stato uno dei primi a recarsi in Asia alla ricerca di nuovi talenti. Le donne di Wei hanno lineamenti molto femminili, tanto da ricordare le attrici degli anni Quaranta e Cinquanta, sono eleganti e disturbate da segni, colori (splendidi i contrasti nero, bianco, giallo o rosso) e stili differenti (persino disegni tipici di fumetti disneyani) che non fanno altro che dar loro maggiore personalità. Per amore, una come Sonia Ribeiro, nata in Mozambico da genitori portoghesi, si è trasferita in Angola e lì ha aperto la sua “This is not a white cube”(TINAWC), una galleria d'arte contemporanea volta a far conoscere ed emergere artisti sperimentali, da Cristiano Mangovo a Nelo Teixeira, da Monica De Miranda a Ricardo Kapura, Pedro Pires e Hakoo Hankson. “In Angola non c'è mercato, ma la cultura e l'arte le facciamo vivere lo stesso con le nostre passioni”, confida al Foglio. “Girare per il mondo per farci conoscere è una passione, ma soprattutto una necessità”. Alla Prometeus Gallery di Ida Pisani colpiscono le installazioni/video di Maria José Arjona: in uno si sdraia tra mille bottiglie che al suo movimento riproducono il rumore dell'Oceano; in un altro viene ripresa in primo piano e da diverse angolazioni con lame sottili che le sfiorano il collo, con echi richiami alla Abramovic di cui, ci dicono, è stata allieva. Le ore passano e la stanchezza si fa sentire, “ma di tutto questo ne resterà il ricordo”, ci fa notare Tania Muraud che da Eastards Prospectus presenta la sua solo, “Memory”, una grande parete con quella scritta quasi indecifrabile “come il senso della nostra esistenza” dove il tempo – come ad Artissima - assume una duplice valenza per un passato eloquente e per un futuro aperto all’indagine creativa.

 

Da non perdere, poi, tornati verso il centro, “Artissima Sound”, la prima sezione dedicata alle indagini sonore contemporanee alle OGR, le Officine Grandi Riparazioni, con quindici progetti monografici dedicati al suono e selezionati dal duo di curatori Yann Chateigné Tytelman e Nicola Ricciardi. Discutibile la “stanza giochi” con, tra gli altri, Christina Kubisch, ma si sa che la gente si emoziona con poco; decisamente migliori quelli di James Richards, capace di combinare i suoni sia a livello fisico che spaziale, ma ad essere spettacolare è il britannico Mike Nelson con un'unica opera occupa l'intero Binario 1. Se siete in città in questi giorni, poi, c'è la nuova edizione di “Paratissima”, nata come evento off e consolidatasi negli anni come vetrina internazionale di nuovi talenti, ospitata nell'ex Caserma La Marmora e “The Others” nell'ex Ospedale Maria Adelaide. Da Camera c'è “La fotografia di Warhol, Schifano & Co.”, ben 150 opere fra quadri, collage e grafiche che ripercorrono la storia di quel movimento, mentre alla GAM, la Galleria d'Arte Moderna, c'è la mostra “I Macchiaioli. Arte italiana verso la modernità”. Ultimo, ma non per importanza, la personale del kosovaro Petrit Halilaj alla Fondazione MERZ (fino al 3 febbraio) dove, tra l'altro, scoprirete come sia riuscito a ricostruire all’interno di quello spazio le proporzioni e i volumi della ex Casa della Cultura di Runik che avevo ospitato una sua celebre performance.

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