Il centro storico di Capalbio (foto via Wikimedia Commons)

Bye bye Capalbio

Carmelo Caruso

Scompare per liquidazione elettorale anche il lido della sinistra pensosa. Ritrosie, antipatie e ossessioni dei suoi frequentatori

E’una buona notizia per la sinistra che, finalmente!, se ne libera e la prima cattiva per la Lega che invece se ne appropria. Scompare per liquidazione elettorale dopo Bologna, Genova e Livorno, anche quella Capalbio che è stata la spiaggia dell’antipatia italiana, il lido di carta della sinistra pesante e pensosa. Terremotato a Pesaro e riparato nella lontana Bolzano, il Pd qui è infatti arrivato terzo sia alla Camera sia al Senato, perdendo non solo il suo posto al sole ma pure i seggi in parlamento. Alle elezioni del 4 marzo, i quattromila abitanti di Capalbio si sono contati e scoperti pensarla come Matteo Salvini (24,75 per cento al Senato) e come Beppe Grillo (25,13 per cento alla Camera) che si sa, almeno per quanto riguardo le vacanze, preferisce volare a Malindi da Flavio Briatore. Insomma, avevamo capito che a Capalbio la storia fosse scappata di mano già nell’agosto del 2016 quando nella “Piccola Atene” l’integrazione si scoprì essere un problema anche per la sinistra e il respingimento una necessità non solo per la destra. Contro l’arrivo di 50 migranti si mobilitò allora un uomo di spirito e blasone come Nicola Caracciolo, fratello dell’editore Carlo, principe di Castagneto, duca di Montalto, naturalmente ambientalista ma soprattutto residente di Capalbio e dunque “preoccupato per la fragilità del comune e l’arrivo di cinquanta migranti in un paese che ha come prima economia un turismo di qualità”.

 

Il 4 marzo gli abitanti del borgo hanno scoperto di pensarla come Salvini (24,7 per cento al Senato) e Grillo (25,1 alla Camera)

Era il più preoccupato ma non era l’unico. Inseguiti dai giornalisti iniziarono a confidare le proprie angosce l’ex deputato del Pci Chicco Testa, (“I migranti non possono stare a bighellonare”), l’ex presidente della Rai, Claudio Petruccioli, (“Accogliamoli ma con trasparenza”), fino all’italianista Alberto Asor Rosa che, vale ricordare, è l’uomo a cui si deve la costruzione dell’idea di Capalbio come città dello spirito, ricovero marittimo della riflessione di sinistra, in pratica l’ennesima chimera ideologica. Intervistato da Marco Gasperetti sul Corriere, il giudice del canone italiano dava quella che può essere ritenuta ancora oggi una lezione di dissimulazione: “Non vedo perché Capalbio debba essere dispensata dall’ospitalità a un numero sopportabile di migranti. La loro ospitalità va metabolizzata”.

 

La verità è che l’Italia non ha mai “metabolizzato” Capalbio che non a caso è uno spazio sottratto alla natura selvaggia, nel cuore della Maremma, dal castigliano marismas che significa appunto palude, e che perfino per Dante era inaccessibile: “Non ha sì aspri sterpi né si folti quelle fiere che n’odio hanno tra Cecina e Corneto i luoghi colti”. E dunque non si sa se la fortuna l’abbia fatta la bonifica o la decisione di Fulco Pratesi di strapparla ai cacciatori – è il cinghiale il vero padrone di Capalbio – per farne un’oasi del Wwf, “a colpi di quattrini perché capimmo che solo la proprietà privata garantisce la piena salvaguardia delle aree”, racconta lo stesso Pratesi a Stefania Sabina De Donno ne “Il fascino di Capalbio” (Effigi Edizioni). Fascino?

Non si sa se la fortuna l’abbia fatta la bonifica o la decisione di Fulco Pratesi di strapparla ai cacciatori per farne un’oasi del Wwf

Ci fu un tempo, ma è davvero tanto tempo, in cui Capalbio è stata la stazione italiana dell’egemonia culturale: aria buona, letture speciali, conversazioni elevate in piazzetta Magenta dove non poteva mancare naturalmente il premio (giornalistico) Capalbio e dove la biblioteca comunale era niente meno che quella del critico militante e marxista Carlo Muscetta, che aveva donato i suoi preziosi incunaboli in cambio di una casa in usufrutto da parte del comune. Come il naufrago che scopre la felicità della solitudine, l’intellettuale, a Capalbio, ha coltivato l’utopia della comunità protetta dalle dune, dai cespugli di mirto e lentisco o almeno lo ha fatto credere ai giornali, veri utilizzatori finali di Capalbio, paese riempitivo nelle pagine di alleggerimento che già il divertito Beniamino Placido indicava essere “un tranquillo borgo maremmano che è diventato senza particolari meriti un punto di riferimento fisso, un topos delle letterature balneari” e per Enzo Biagi “un luogo che per noi buzzurri è da evitare”.

 

La scoperta del luogo, anzi, la riscoperta, se la contendono Nicola Caracciolo e Alberto Asor Rosa che in un articolo sulla Repubblica del 1987, “La mia Toscana felix”, la accostava alla città di Pericle e ne lamentava la minaccia dell’urbanizzazione feroce, ogni ombra di cemento come un sacco edilizio, per non parlare della possibilità del passaggio dell’autostrada Livorno-Civitavecchia salutato come una sciagura simile a Chernobyl e Fukushima perché “ha distrutto il territorio molto di più il nostro ampio e sproporzionato sistema autostradale che non una, per ora totalmente ipotetica, catastrofe nucleare”.

 

A Capalbio, vicina a Roma ma lontana dalla fatica, per un momento si è addirittura accarezzata la possibilità di rifare la sinistra, di far riconciliare il socialismo e il comunismo grazie ai suoi due abitanti Claudio Martelli e Achille Occhetto, che una sera d’estate del 1988 mancò, però, l’appuntamento fatale. Per giustificare l’assenza e la mancata intesa, si racconta fosse stato inviato Claudio Petruccioli, altro residente, che a uno sgomento Martelli rispose così: “Perdona Claudio, ma Achille aveva da fare con Aureliana…”. A Capalbio è stato “scattato” infatti il bacio tra Occhetto (proprietario di un casale a Giardino) e la moglie Aureliana Alberici, il primo di un leader politico (ma lo era?) e è stato anche l’unico caso di bacio che anziché generare polemica o tenerezza ha provocato malinconia e risentimento. Di certo solo in provincia d Grosseto, Occhetto dicono riuscisse a liberarsi dei propri fantasmi e a imitare in maniera insuperabile i vari Amendola, Ingrao e Alicata; in una parola ridere della famiglia che alle spalle si pugnalava. E però, non si comprende ancora Capalbio se non si setaccia e si riporta la sua anagrafe stagionale: Giorgio Napolitano, Giorgio La Malfa, Franco Bassanini, Gianni Mattioli, Enrico Manca, Francesco Rutelli e la moglie Barbara Palombelli, il filosofo Giacomo Marramao, Corrado Augias, Angelo Guglielmi, Luciana Castellina, Furio Colombo, Lidia Ravera, Phillippe Daverio, Toni Negri (ospitato da un giudice) e prima ancora Giuseppe Saragat e Amintore Fanfani… anche se una menzione speciale la merita tuttavia il solito Chicco Testa, che in realtà ha una casa a Manciano, a cui va dato merito di aver riflettuto sui guasti che la sapienza produce quando si incrocia con la geografia e in questo caso con Capalbio: “La presenza di intellettuali, imprenditori, politici, industriali, crea spesso situazioni atipiche. A volte facciamo la figura di grilli parlanti”.

Chicco Testa: “A volte facciamo la figura di grilli parlanti”. Un pomeriggio con Asor Rosa. Il vertice mancato Martelli-Occhetto

 

Più severo fu, però, il governatore della Toscana, Enrico Rossi, un uomo che non può essere accusato di scarsa cultura e moderazione, che dovette spiegare la ragione per cui in Toscana, e non in Val di Susa, non fosse possibile costruire le grandi opere autostradali: “Non le vogliono fare certi residenti che hanno le ville in queste zone, romani che influenzano i giornali. Non vogliono che le loro case vengano toccate”. E infatti dopo 46 anni di progetti e varianti, i 206 chilometri di autostrada tra Rosignano e Civitavecchia non sono stati mai realizzati e non solo per le proteste, i cortei, le petizioni della coppia Asor Rosa-Caracciolo. Anche a Capalbio, già prima che le elezioni lo documentassero, la bandiera era cambiata e il partito degli apocalittici si era arricchito di importanti adesioni come quelle di Filippo Nogarin, sindaco di Livorno e di Antonio Cozzolino, sindaco di Civitavecchia. Entrambi sono del M5s. Anche loro della “Lobby Capalbio?”. E’ sicuro che non è mai esistita e altrettanto certo che, se mai è esistita, era senza dubbio frantumata, come la sinistra, in correnti. Si hanno testimonianze dell’esperimento infelice proprio riguardo alla famigerata autostrada che anziché unire nella protesta riuscì a spaccare in fila: Wwf, Italia Nostra e Legambiente. La contesa era su chi fosse più radicale. Italia Nostra guidata da Caracciolo era per l’intransigenza. Legambiente lamentava il fatto di essere stata definita da Italia Nostra “buonista”. E’ finita così: “Vogliono solo salvare le ville”, ha fatto sapere Legambiente che alla fine ha dato forfait.

 

In ogni caso sono riusciti a fermare l’autostrada che, ed è solo un omaggio all’uomo, per anni è stata il chiodo fisso dell’ex ministro dei Trasporti, ed ex An, Altero Matteoli, che lo scorso 18 dicembre, proprio nei pressi di Capalbio, è morto in un incidente d’auto mentre guidava sull’Aurelia. La stessa morte del poeta Alfonso Gatto, il 7 marzo del 1976, anche lui vittima di un incidente d’auto nei pressi di Capalbio. E sempre per non trascurare la cronaca dei rifiuti e dei no, è necessario dire che alla fine, a Capalbio, anche l’invasione dei migranti non si è verificata e anziché 50 richiedenti asilo ne sono arrivati soltanto 13 per volere del prefetto Cinzia Teresa Torraco che ha stralciato il vecchio bando e lo ha riscritto facendo così esultare l’avvocato del comune, Alessandro Antichi, che ha potuto urlare: “Abbiamo vinto!”. E invece ha vinto soprattutto la Lega che qui, prima d’ora, era un partito esotico e che oggi invece approda su quella che, mai nome fu più triste, è stata sempre “Ultima spiaggia”. E’ il nome del lido, cellula, sezione di partito conteso dalla nomenklatura che qui soltanto si è esibita in sandali e canotta ma che mai si è mescolata con la massa sdraiata sui lettini del lido “Macchiatonda”, stabilimento balneare confinante ma già in aria reddito medio. Ebbene, bisognerà un giorno riconoscere che solo la catastrofe d’epoca, la misura del disastro di queste passate elezioni ci ha risparmiato le relazioni appassionate sulla scomparsa della sinistra a Capalbio, che è sempre metafora della “scissione sentimentale” tra politica e popolo, la sconfitta spiegata con parole alte ma che sempre disfatta rimane. Si deve infatti al sindaco Luigi Bellumori, del Pd, la spiegazione più semplice: “Il Pd ha pensato più ai disgraziati provenienti da oltre mare che ai nostri cittadini inseguiti da Equitalia”.

 

Come si vede non ha pensato neppure a quelli e c’è da credere che da Capalbio perfino i migranti sarebbero voluti fuggire per incompatibilità ambientale, via da quel corso dove Asor Rosa e la moglie “coglievano gli ultimi bagliori del sole sorseggiando un calice di bianco…”. Anche Capalbio ha infatti la sua Recherche scritta dalla giornalista Giovanna Nuvoletti, un testo che sta e metà tra il romanzo e il documento, dal titolo “L’era del Cinghiale Rosso” (Fazi Editore) in alcuni passaggi strepitoso come in questo: “Restavo sotto l’ombrellone a leggere romanzi mentre mia mamma e lo scrittore trasportavano sacchetti di mozzarelle e pomodori (presi a Orbetello perché in paese vendevano solo salsicce di cinghiale e misticanza) verso la natura incontaminata. Che palle. (…). Niente Capalbio. Scongiurai mio padre di mandarmi ovunque.

La minaccia dell’urbanizzazione feroce, ogni ombra di cemento come un sacco edilizio, il passaggio dell’autostrada come Chernobyl

Tutto pur di stare in un posto civile, fornito di comodità moderne e di miei coetanei, e privo di cinghiali”. Ma Nuvoletti ricorda anche la Capalbio altera, e che è poi il vero limite della sinistra, che mai si è saputa prendere in giro: “Una sera mi fu presentato il famosissimo Asor Rosa cui mi affrettai a chiedere: “Ah, lei è il palindromo?”. Un gelido silenzio mi circondò. Filosofi e antropologi mi guardarono come un’impertinente ragazzina”. Per Bellumori, nonostante la vittoria della Lega, “il brand resta intatto. Capalbio è più di un paese collocato in altura, è uno stato d’animo”, ma ammette che “di cinghiali ce ne sono ancora moltissimi anche se i ‘rossi’ sono quasi una rarità…”. E forse è questa la sola fortuna per il Pd, che per paradosso potrebbe ripartire da questa Capalbio esaurita e rimasta in dote a Matteo Salvini. Ecco, il rischio è che Capalbio contamini la Lega e il suo leader che si è sempre servito di questo luogo per farne antitesi: “La sinistra di Capalbio mi fa schifo”; “E’ il rifugio dei buonisti milionari”. Il massimo, anzi, la vera alleanza straordinaria non sarebbe più quella tra M5s e Lega ma tra il reduce di sinistra e il leghista rampante, o ancora vedere allo stesso tavolo, a giocare a carte, Marramao e Salvini, Roberto Calderoli e Angelo Guglielmi, Umberto Bossi e Furio Colombo. Non pensate sia impossibile. Capalbio è la vera arma che rimane alla sinistra per stanare e imprigionare i populismi. Nulla è più pericoloso di un pomeriggio a Capalbio. In compagnia di Asor Rosa.