L’inesorabile sentore della verità nell’ultimo libro di Don Winslow
Giusti e corrotti. Astenersi moralisti
"Dentro, l’aria è calda e viziata, ma in quei vecchi appartamenti è sempre così: troppo caldo o troppo freddo. Nessuno riesce a capire esattamente come funzionano i radiatori. Un termosifone lancia un sibilo, come per dire a Malone di andare affanculo, se la temperatura non gli piace”. In un romanzo di Don Winslow, dove anche la mobilia è noir, il frustrante problema è spesso cosa “non” citare. Già nei suoi poderosi (e ferocemente divertenti) precedenti, questo ex investigatore aveva raccontato il mondo del narcotraffico, della marijuana, del carcere, del surf californiano. E spesso, per gli schizzi di sangue, alla fine di un capitolo de Il cartello
Anche il detto “a brigante, brigante e mezzo” trova la sua icastica traduzione già nella prima scena, con i poliziotti fatti di dexedrina fino ai capelli per affrontare proprio i trafficanti in una sparatoria devastante. Nella voce narrante, che racconta la tragica caduta di un monarca in divisa e della sua squadra, si coglie l’omaggio a tanti protagonisti del noir, uomini duri e feriti dalla vita, che i puri guardano come dei fallimentari imbarazzi o dei perenni sospetti e il cui codice d’onore è inscindibile dalla matassa dei loro stessi compromessi. E come il dolente Marlowe di Chandler citato in exergo (“I poliziotti sono soltanto persone” – “Sì, ho sentito dire che cominciano così”) anche il protagonista Malone sfoggia una sua saggezza proverbiale (“Ha mai sentito parlare dell’Alzheimer irlandese? Si dimentica tutto, tranne i rancori… Un altro attributo kennediano è che gli piace la fica, e la fica ricambia”) ben resa – davvero chapeau – dalla bella traduzione di Alfredo Colitto (ma il titolo originale The Force aveva ben altra carica evocativa).
Il nostro modo concettuale vive di stolide e ripetitive cacce alle streghe, reprobi da prendere a sassate mediatiche, morali semplicistiche, chiare e lineari. Il nostro gruppetto su Facebook e “loro”, gli altri, gli infami, i corrotti. Chesterton ci ricordava che i cattivi libri hanno una morale, mentre i buoni libri sono una morale, che è tutt’altra cosa dal moralismo. Winslow non è pertanto un giustizialista, ma neppure antigiustizialista. La sua narrazione rifugge da questi schemi e opposizioni e ha piuttosto l’inesorabile sentore della verità, restituendoci la zona grigia nella quale viviamo ci muoviamo ed esistiamo, parafrasando liberamente san Paolo, dove innocenza e esperienza, compromesso e coraggio spesso coesistono e risultano persino inestricabili.
In un mondo dove per i media sei un eroe perché salvi una ragazzina da un rapinatore e al tempo stesso un sudicio razzista perché l’hai chiamata “negra” (per sorprendere il rapinatore stesso), dove le commissioni d’inchiesta interna ti chiedono inflessibili: “Ha mai dato della droga a un informatore. Da un punto di vista legale, si tratta di spaccio” e anzitutto si pensa: “Avete mai visto soffrire un tossico? In crisi d’astinenza, in preda a crampi e tremiti, piangente e disposto a tutto? Gliela dareste anche voi, una dose”, la domanda scomoda che ci accompagna tra risate e lacrime, pugni nello stomaco e slanci di tenerezza umana, dalla prima all’ultima pagina di questo viaggio nella vita segreta di New York resta proprio questa: è possibile essere al contempo giusti e corrotti?