Contro le previsioni di chi ha una certa idea (sbagliata) della nostra vita
“But what if we’re wrong?”. Una lettura non tranquilla, sin dalla copertina. Il saggio di Chuck Klosterman è un elenco dei fallimenti di scienziati, critici letterari e cinematografici, studiosi di costume e società. Ma non solo.
“Crede di avere un’idea” precisa Chuck Klosterman, che subito fa l’elenco dei propri fallimenti nel settore “previsioni”. Era convinto che non avrebbe mai posseduto un telefono cellulare. Aveva scommesso cento dollari che Obama non sarebbe diventato presidente (era già molto scettico sulla nomination democratica). Il “baco del Millennio” lo aveva terrorizzato al punto da fargli fare scorta di biscotti Oreo, bottiglie d’acqua e contanti.
Comprereste da quest’uomo un libro che insegna a guardare il futuro senza sbagliare? Il primo pensiero è “soldi sprecati”. Ma Chuck Klosterman riconquista il lettore spiegando che i suoi sbagli sono poca cosa. E’ più interessante capire quel che tutti sbagliamo, sul futuro che aspetta noi e chi verrà dopo di noi. E qui la faccenda si fa interessante. Era opinione comune, quando il frigorifero e la lavatrice erano diavolerie moderne e il telefono aveva i fili, che il passo successivo sarebbe stato il cibo in pillole, come anticipavano i romanzi di fantascienza. Princìpi nutritivi comodi da mandare giù e niente stoviglie da lavare. Sbagliato: viviamo tra mercatini biologici e audaci manovre di impiattamento. Sono questi gli sbagli che interessano a Chuck Klosterman, che non cita mai “Il dormiglione” di Woody Allen e neppure la legge che ne ricavò Steven Johnson in “Tutto quel che ti fa male ti fa bene”. Quel libro parlava di consumi culturali, prendendo a modello l’ibernato che si risveglia e scopre che i deficienti del futuro ignorano il valore nutritivo delle merendine. Riportato alla cultura popolare: com’è che non ci siamo accorti, per anni, di quanto certe serie o certi fumetti siano superiori a certi romanzi che vincono il premio Strega? Non “più divertenti” né “più facili” né “più accessibili” o adatti a un pubblico distratto. Proprio posizionati un gradino più su, per struttura e linguaggio.
“Il 90 per cento di tutto è spazzatura” rispose Theodore Sturgeon a chi gli faceva notare che il 90 per cento per cento della fantascienza è spazzatura. Il restante 10 per cento – di cui Sturgeon fa parte per via di “Cristalli sognanti” – in mezzo secolo ha fatto il grande salto dalle rivistine al catalogo Adelphi. Difficile è però capire adesso quali saranno gli eletti. Spiega Chuck Klosterman – con dovizia di esempi che vanno dalla forza di gravità a Franz Kafka, al “Moby Dick" di Melville, a “Matrix” dei fratelli Wachowski – che bisogna imparare a ragionare sul presente come ragioniamo sul lontano passato. Dove c’erano opinioni tenute in gran conto che si sono rivelate ridicole; dove c’erano scrittori che nessuno si filava, e ora sono venerati; dove nei romanzi non si parlava di sesso, come nei romanzi d’oggi internet non ha lo spazio che occupa nelle nostre vite. Vale anche per i musicisti. Chi durerà più a lungo – parliamo di secoli, quando saranno distanti da noi come i musicisti del barocco – tra Elvis Presley e Bob Dylan? Chuck Klosterman non ha dubbi: nessuno dei due, la posterità sceglierà Chuck Berry. Quanto a “Matrix”, il film alla sua uscita filosoficamente discettava di apparenza e realtà. I posteri potrebbero apprezzarlo come un manifesto transgender, entrambi i registi hanno cambiato sesso. O considerarlo una bizzarria dei nostri anni. Come fu il Tamagochi, pulcino elettronico da nutrire e accudire.