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Terrorismo, non odio

Dietro il lessico sbagliato, anche quando si parla di stragi come quella capitata lo scorso fine settimana a Orlando, in Florida, si cela il dramma della società contemporanea occidentale.
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Roma. Dietro il lessico sbagliato, anche quando si parla di stragi come quella capitata lo scorso fine settimana a Orlando, in Florida, si cela il dramma della società contemporanea occidentale. Dire che quanto è accaduto al locale gay Pulse per mano di Omar Mateen è una mera manifestazione di “odio” e non “terrorismo”, come ha fatto Barack Obama, non fa altro che spostare l’attenzione dal problema. A scriverlo è Russel R. Reno, direttore di First Things, la rivista conservatrice americana alfiera delle guerre culturali. Parlare di odio – nota Reno – “dirotta la nostra attenzione sulle emozioni forti e gli stati mentali anormali. Ci distrae dalla constatazione che il nostro nemico ha formulato un giudizio razionale e politico, e cioè che per l’umanità sarebbe meglio se una forma di governo islamico – piuttosto che gli Stati Uniti – dominasse il mondo”. E’ sotto gli occhi di tutti, sostiene l’autore, ma il latente “multiculturalismo ci ha reso troppo ‘parrocchiali’ per vederlo. La verità è che il terrorismo affonda le sue radici nella politica, non nell’odio”. Il giudizio politico che fa da cardine alla visione islamica radicale è che l’America è la fonte preminente della corruzione morale e spirituale “e da questa premessa non è arduo concludere che l’influenza globale dell’America è malevola”. E’ chiaro, dunque, scrive Reno, che “una volta raggiunta questa conclusione, ogni persona responsabile dovrebbe logicamente combattere contro la superiorità globale americana”. Manca chiarezza: “Perché allora i nostri leader, quando parlano della sparatoria di Orlando, si soffermano sull’odio?”. La risposta è semplice, a quanto pare: “Perché i nostri leader non possono immaginare l’esistenza di un antiamericanismo razionale”.

 

“Questo – aggiunge Russel R. Reno – lo si deve in parte all’effetto limitante del multiculturalismo. Ci facciamo di continuo i complimenti tra noi stessi per la nostra tolleranza, l’inclusività e la diversità. E dal momento che siamo così tolleranti, si suppone, non ci dovrebbe essere alcuna ragione perché gli altri non tollerino noi. Inoltre, non essendo offesi, dovremmo a nostra volta essere inoffensivi. Quando Barack Obama e Hillary Clinton dicono che la storia è dalla nostra parte, intendono sostenere che non vi è alcun valido argomento contro la nostra ascesa o il nostro modo di pensare”. Il problema – prosegue il direttore di First Things – “è che i nostri leader sono incapaci di vedere il mondo attraverso gli occhi di un musulmano conservatore”. C’è un paragone storico che dovrebbe invitare a riflettere: dopo la Seconda guerra mondiale,  George Kennan comprese bene qual era il giudizio politico dell’Unione sovietica sull’America: “Lui e gli altri sono stati in grado di immaginare il nostro avversario globale ideologicamente impegnato, hanno capito che l’ideologia marxista altro non era che una lente attraverso la quale i difetti della nostra nazione sono apparsi come profonde perversioni. E hanno messo in campo le politiche per contrastare il comunismo”. Oggi non si riesce, scrive Reno, a guardare la realtà attraverso le lenti islamiste: quando i rappresentanti istituzionali cercano di indagare qualche causa di quel che di drammatico accade alle nostre latitudini, “parlano solo di forte emozione, cioè dell’odio. Questa spiegazione è tanto più allettante nel caso di Omar Mateen, le cui vittime erano gay”. Ecco che allora, scrive Reno, “per i multiculturalisti il terrorismo si comprende meglio se è inteso come derivante da un disturbo, una fobia. In questo caso l’omofobia. Il terrorismo, allora, altro non è che la strage di Sandy Hook (la scuola dove un folle, nel 2012, assassinò 20 bambini, ndr) condita da un po’ di risentimento politico”.

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