Basta teologia cristiana a Oxford: arrivano i corsi di femminismo, misticismo e buddismo
Roma. Per la prima volta in ottocento anni di storia, l’Università di Oxford ha deciso che si può fare a meno del cristianesimo nei corsi di teologia. Quando il Telegraph aveva pubblicato la notizia, lo scorso 1° aprile, i più avevano pensato al classico pesce, ritenendo del tutto inverosimile che la gloriosa istituzione britannica potesse arrivare a tanto. Invece è stato lo stesso preside della facoltà, lo storico di rango Johannes Zachhuber, che pure la teologia la insegna, a confermare tutto: “La gente che studia a Oxford proviene da realtà differenti e legittimamente ha diversi interessi. Uomini e donne che provengono da rispettate comunità della Gran Bretagna”. La ragione, insomma, è la solita: la secolarizzazione incalzante, i giovani senza più fede, il politicamente corretto che richiede l’adeguamento dei curricula e dei programmi alle esigenze dei tempi correnti.
Si fa notare, tra le motivazioni del passo rivoluzionario, pure la crisi della chiesa d’Inghilterra, anche se “è vero che la religione non è scomparsa”, ha tenuto a precisare Zachhuber. “Dobbiamo offrire ai potenziali studenti ciò che a loro interessa, e questo è cambiato molto negli ultimi trent’anni”. Comunque, osservava, “non credo che tutti gli studenti sceglieranno di lasciare gli studi di cristianesimo”. Il portavoce dell’università tenta di circoscrivere le polemiche, spiegando che il cristianesimo resterà obbligatorio nel primo anno di studi (forse per onorare il motto dell’istituzione, Dominus illuminatio mea), quando invece potranno evitare ebraico, greco antico e latino sostituendoli con l’approfondimento dell’arabo coranico o del pali, “antico idioma indiano” ritenuto fondamentale per “essere stato utilizzato nei primi componimenti buddisti”.