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A chi il fascismo? “A noi!”. Un libro per una seduta spiritica collettiva

Alessandro Giuli
Il viaggio di Tommaso Cerno da Mussolini a Grillo (e Renzi). Volendo sintetizzare in un’immagine il senso del libro, è un invito, anzi, l’intimazione doviziosa a sobbarcarsi il peso d’una interminabile seduta spiritica collettiva. Obiettivo: richiamare lo spettro latente del fascismo, misurarne i lineamenti costitutivi e scoprire che questo fantasma è in realtà uno specchio e sta riflettendo la nostra carta d’identità, l’autobiografia non della nazione ma dell’ego profondo dei suoi governanti e governati.
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Un altro libro divulgativo e a tesi sul fascismo, a che può giovare? E’ così, diffidente e fazioso, che mi sono avvicinato al manufatto di Tommaso Cerno, “A noi!” (Rizzoli, 307 pagine, 19 euro) e alla sua bellissima squillante copertina corredata di caratteri razionalisti. Certo il sottotitolo incoraggia: “Cosa ci resta del fascismo nell’epoca di Berlusconi, Grillo e Renzi”. E il nome dell’autore, per chi lo conosca, è garanzia di totale partigianeria professionale (complimento!), con un tocco giornalistico – Cerno è una firma di rango all’Espresso e dal 2014 dirige il Messaggero Veneto – e una robusta iniezione di studi storici, testimoniati dalla recente conduzione della trasmissione “D-Day” (Rai 3) e dall’affettuoso ringraziamento in coda per “l’amico e maestro Paolo Mieli”. Volendo sintetizzare in un’immagine il senso del libro, direi che è un invito, anzi di più, l’intimazione doviziosa a sobbarcarsi il peso d’una interminabile seduta spiritica collettiva. Obiettivo: richiamare lo spettro latente del fascismo, misurarne i lineamenti costitutivi e scoprire che questo fantasma è in realtà uno specchio e sta riflettendo la nostra carta d’identità, l’autobiografia non della nazione ma dell’ego profondo dei suoi governanti e governati. Nulla a che vedere con l’Ur-fascismo su cui s’accoccolò a suo tempo la pigra erudizione di Umberto Eco, e che in buona anzi cattiva sostanza s’identifica con un immaginario vitalismo irrazionale e regressivo. No, Cerno ambisce alla totalità dei caratteri, dei costumi, delle debolezze e delle innate inclinazioni: “Il fascismo fu anche questo – scrive nell’Epilogo – Ipocrisia, faciloneria, fu lente d’ingrandimento di un Paese pronto a stare dalla parte di chi vince, dalla parte di chi comanda, dalla parte di chi grida più forte. Proprio com’è oggi, nonostante siamo inseriti a pieno titolo nelle democrazie occidentali… Siamo fatti così noi italiani. E ce lo portiamo dentro come un’impronta digitale”.

 

Questa elusiva servitude volontaire italiana, il profilo antropologico spietato, dolente ma non senza ironia, pessimista without a point, è il traguardo del libro di Cerno. Prima c’è da incamminarsi sul sentiero dei prototipi, degli exempla negativi, degli avatar in cui di volta in volta s’incarna il funesto totem. E così l’autore sceglie di moltiplicare gli specchi e metterli in comunicazione. Mussolini è al centro, ritratto nelle sue pose pubbliche e private, ai suoi fianchi ci sono Bettino Craxi, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e Beppe Grillo. Ovvero la prosecuzione del peggior mussolinismo nell’epoca della sua riproducibilità tecno-mediatica. E’ la parte scontata, più costrittiva e ardente della tesi, seppur molto ben costruita: la reductio ad Mussolinim. Anche debole però lì dove il termine di paragone sono i fatti di sangue ascritti al fascismo come genotipo del caso Moro, lì dove l’omofobia contundente del regime si fa prologo del caso Boffo; e le corruttele (in fondo pochine, sì che l’autore le ha grosso modo inventariate tutte in poche righe) e le mitopoiesi propagandistiche del Ventennio sono antesignane di Tangentopoli e dei partiti-azienda. Men che mai ci si raccapezza, poi, quando la requisitoria si fa pastiche, mescolando sregolatezze e universi così lontani: il presunto mammonismo mussoliniano, la condiscendenza della signora Rosa Berlusconi, il “dolce sistema totalitario” della Dc, Rachele, Claretta, l’Agnese Renzi e Veronica Lario, il terremoto abruzzese… Funziona meglio, la narrazione, lì dove al già visto – Craxi l’autocrate, mietitor di donne, caricaturalizzato con gli stivaloni eccetera – e al già detto – il Cav. chansonnier, sciupafemmine e dalle femmine scorticato, che si getta (letteralmente) nella politica degli affari, e la Lega naturaliter fascistoide (Matteo Salvini sta facendo di tutto per dare ragione a Cerno) – s’aggiungono la fenomenologia dell’intransigenza a 5 stelle come aspirazione sansepolcrista (genere fascismo della prima ora) e un tentativo acrobatico di fare sartoria renziana, tagliando e cucendo lacerti di giovanilismo rottamatore, hashtag un po’ squadristi, demolizioni varie.

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[**Video_box_2**]Cosa si salva, nel libro di Cerno? Forse l’Iri, per il resto poco o niente. E del libro di Cerno, che rimarrà? Un godibile riepilogo storico del volto oscuro novecentesco. Un pointillisme che sarebbe piaciuto a Petronio nella ricognizione delle gesta erotiche ducesche e non solo. Una folgorante denuncia della nostra Italia post mussoliniana: talmente insicura di sé da costringersi a costituzionalizzare la messa al bando del fascismo, più o meno come aveva fatto il regime con l’antifascismo. Non so se la seduta spiritica sia infine riuscita. Mi domando se Cerno, decidendo di maneggiare con tanta disinvoltura il mussolinismo come italianità dispiegata, volesse dispensare generose patenti di grandezza o di miseria; forse entrambe: grandezze misere e miserie grandi del Dopoguerra.
Alessandro Giuli

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