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Viviana, Gioele, il dolore da non microfonare perchè non ha senso, né colpevoli

Simonetta Sciandivasci

Per Daniele Mondello, chi ha cercato per giorni suo figlio non ha lavorato bene. Ma le tragedie accadono, e i nostri metodi per impedirle non sempre sono sufficienti

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Le ricostruzioni della morte di Viviana Parisi e di suo figlio Gioele riportate sui giornali sono ipotesi. E lo saranno anche quando “l’autopsia chiarirà”, e tutte le versioni convergeranno in una, e il caso verrà risolto, archiviato, i funerali saranno celebrati e noi smetteremo di parlarne, leggerne, scriverne. Lo faremo dimenticando qualcosa, com’è giusto, naturale, come si dimentica il parto e il male che fa venire al mondo, perché altrimenti vivremmo male, inchiodati a un dolore e alla sua verità.

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Le ricostruzioni della morte di Viviana Parisi e di suo figlio Gioele riportate sui giornali sono ipotesi. E lo saranno anche quando “l’autopsia chiarirà”, e tutte le versioni convergeranno in una, e il caso verrà risolto, archiviato, i funerali saranno celebrati e noi smetteremo di parlarne, leggerne, scriverne. Lo faremo dimenticando qualcosa, com’è giusto, naturale, come si dimentica il parto e il male che fa venire al mondo, perché altrimenti vivremmo male, inchiodati a un dolore e alla sua verità.

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Dimenticheremo che è impossibile sapere davvero com’è andata, quali intenzioni aveva Viviana Parisi, se abbia voluto uccidersi e ci abbia poi ripensato, e se le sue intenzioni siano state cambiate dal caso, da qualcosa che è successo, o da qualcosa che le è venuto in mente, da un suono o da un odore che ha sentito, da una frase che le ha detto suo figlio. Gli inquirenti studiano, rilevano, sommano ogni particolare, i centimetri e i metri di tutto, calcolano i passi possibili, e i minuti possibili per farli: arrotondano, ipotizzano, riscrivono. E’ così che si procede.

 

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Noi osserviamo il farsi del quadro, aspettiamo che sia completo, perché quando lo sarà ci verrà detto come questo fatto orrendo è successo, e perché. Forse non ci faremo bastare quel perché, e ne metteremo accanto un altro, il nostro. Intanto, quel perché lo vogliamo perché lo usiamo per dirci che siamo tutti uguali non davanti alla legge, o alla giustizia, o all’ingiustizia, o al caso, o allo stupore, o alla paura: lo usiamo per dirci che nelle vite di tutti le cose accadono per una ragione, e che quella ragione è sempre conoscibile, sondabile, indagabile, ricostruibile.

 

Ma è falso, è una bugia, una delle molte bugie bracciolo che ci raccontiamo per non annegare. Giuseppe Di Bello, l’ex brigadiere che ha ritrovato il corpo di Gioele, ha detto di essersi deciso ad andare a cercarlo perché di notte non si dava pace, si chiedeva come accidenti fosse possibile che tutti quegli uomini, i cani, un padre disperato, non ci riuscissero. Ha detto di aver “iniziato a immaginare come la vede un bambino di 4 anni che è rimasto solo”, e così ha fatto i passi che avrebbe fatto un bambino, e lo ha trovato, a 400 metri dal punto in cui è stata trovata sua madre, molti giorni prima.

 

Il padre del bambino, Daniele Mondello, ha pubblicato un video in cui si vedono alcuni secondi delle ricerche, e tutti i giornali hanno riportato cos’ha scritto, i suoi “dubbi oggettivi sui metodi adottati per le ricerche”, il fatto che non volesse fare polemica ma una semplice considerazione, perché in poche ore un volontario è riuscito laddove 70 uomini esperti, in 15 giorni, hanno fallito. Non è vero che siamo tutti uguali: alcuni vedono morire i propri figli e altri no. Ad alcuni tocca quel dolore indescrivibile, quello che trasforma la vita nel ripetersi di aver vissuto troppo.

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E’ la ragione per cui non dovremmo microfonare quel dolore, così unico e terribile, non darlo in pasto alla nostra bugia, al nostro bisogno di dirci che siamo tutti uguali e le tragedie accadono per un motivo, e se accadono per un motivo allora sono evitabili, e se invece non vengono evitate allora qualcuno non ha fatto bene il suo lavoro, e così via, di attribuzione della colpa in attribuzione della colpa, senza fermarci mai, arrossendo di dolore e rabbia a ogni giro, come se poi servisse a stabilire un senso, a restituire una giustizia.

 

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Settanta uomini hanno cercato un bambino con tutti i metodi e i mezzi che avevano a disposizione, non l’hanno trovato perché tutti i mezzi e i metodi che avevano, che abbiamo a disposizione, a volte, non sono sufficienti, per la medesima ragione per cui non conosceremo mai le intenzioni di Viviana Parisi. Per la medesima ragione per cui non tutti i calcoli tornano, anche quando le versioni combaciano. Per la medesima ragione per cui, a volte, ci dimentichiamo di guardare dove mettiamo i piedi, anche se sappiamo che è la sola cosa che possiamo fare per non cadere.

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