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Ri-educazione vegana

Maurizio Crippa

Il sindaco Appendino e i venerdì vegani a scuola. Un neototalitarismo che è peggio della leva militare

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“E mangia di gusto ’sto rancio puzzone / è analfabeta, per giunta terrone”. Il soldato Nencini di Jannacci lo avevano mandato ad Alessandria “perché c’è più nebbia”, in base al dettame novecentesco per cui la socializzazione forzata e l’imparare a mangiare tutti uguali erano buone pratiche ri-educative. La leva obbligatoria l’hanno abolita, la scuola dell’obbligo no (era una buona idea di Pasolini, prima che Pino la Rana facesse quel casino a Ostia). Così i nuovi Gennariello, non ad Alessandria ma a Torino, si troveranno da settembre alle prese con le pretese neototalitarie della sindaca. Chiara Appendino, in ottemperanza al suo Mein Kampf elettorale – fare di Torino una città “vegan friendly”, anche imponendo nelle scuole la “corretta alimentazione” – ha statuito che i 25 mila Gennarielli che frequentano le mense cittadine dovranno mangiare una volta al mese vegano. Il secondo venerdì del mese (forse a sfregio dei venerdì di magro cari a una religione un tempo di moda). Verranno banditi carne, uova, burro, latticini e pesce. Ma per i primi piatti “i bambini continueranno ad avere l’opzione parmigiano”. E pazienza se montagne di pareri pediatrici e dietologici sconsigliono l’alimentazione siffatta: tanto loro sono No-Vax, e in generale No-Science. Ma il punto non è scientifico. Il punto è il polpottismo ri-educativo radicato come un tubero ammuffito nei meandri dell’ideologia cara agli Appendinos: far tabula rasa fin da piccoli delle (in)naturali abitudini gastronomiche. Così, come una Michelle Obama senza quid né adeguato marito, Chiara Appendino è partita per la crociata.

 

Siccome i social sono miniere di illuminanti perle, qualcuno ieri ha ripreso questo accorato messaggio di una grillo-vegana: “Ciao mamme c’è qualcuna di voi che arrivata a quasi 6 anni di allattamento al seno ha avuto problemi con il ciclo (è la prima volta che salta e credo per stress da decreto vaccini) e conosce omeopata ginecologa vegan?”. Ecco, il mondo rieducato dai grillo-vegan, per quanto sabaudi, produrrà queste cose. E tanti auguri al figlioletto, quando dovrà essere allattato nelle aule dell’università.

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Ma prendersela solo con i vegani sarebbe ingiusto. Il totalitarismo rieducativo, lo stesso di cui patì il soldato Nencini, alligna tuttora ai vertici della cultura politica. Restando nel campo mense (curiosamente l’epicentro è sempre Torino, dove mesi fa scoppiò la rivolta per la schiscetta libera): il governo ha riesumato un disegno di legge del 2015 (ddl 2037), ora al vaglio delle commissioni Istruzione e Agricoltura del Senato sulla ristorazione collettiva. C’è un passaggio che taglia la testa al panino da casa e impone che in futuro per i bambini sarà ammessa solo la ristorazione totalitario-scolastica. Ancora, il problema non è se sia più sana l’insalata scondita del Comune o la pizza rifritta della nonna. Il punto è ri-educativo: “I servizi di ristorazione scolastica sono parte integrante delle attività formative ed educative erogate dalle istituzioni scolastiche”. Ma perché? A scuola non si insegna a leggere e scrivere? E poi, se bisogna abituare Gennariello ai sapori interculturali, come in ogni paese massificato che si rispetti, perché Appendino non impone la giornata del maiale anche per i bimbi islamici, o ebrei? Ma, forse, i neototalitari alimentari sono più scientifici di quanto crediamo e hanno introiettato la faccenda dell’immunità di gregge: farli mangiare fin da piccoli come pecore.

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