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seconda ondata

Milano è una città che ha paura (ma niente panico)

Maurizio Crippa

Si mostra vuota, in maschera e ben distanziata. Così, dopo averlo vissuto a marzo, il grande spavento è diventato parte di noi

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Il colpo d’occhio, vale quel che vale. Cioè anche molto, nell’epoca in cui ogni opinionista è virologo, e viceversa. Ma in cui pure se ti informi sul vaccino anti influenzale ogni farmacista ti spiega per tabulas che è colpa di Gallera, manco fosse Massimo Franco col Papa (o manco fossero tutti del Pd). Il colpo d’occhio in una qualsiasi pausa pranzo-shopping di un giorno qualsiasi, o un sabato pomeriggio a CityLife, the place to be fino a sei mesi fa, è che Milano è vuota a metà. Che i milanesi nelle vie del fu assembramento da passeggio sono per la maggior parte a mascherina alzata, si spostano di due passi quando si incrociano. Psicologicamente l’invito a mettersela, la mascherina, funziona silenzioso e da solo: al primo sguardo appunto. Anche prima che Beppe Sala, ieri, ritornasse ai suoi video del mattino e annunciasse che “la parola del giorno è: mascherina”. “A Milano abbiamo avuto 2.303 decessi collegati al Covid. E’ stato un dramma, ma poteva essere peggio e il peggio è stato evitato grazie al comportamento dei milanesi… Vi prego, utilizzate la mascherina”.

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Il colpo d’occhio, vale quel che vale. Cioè anche molto, nell’epoca in cui ogni opinionista è virologo, e viceversa. Ma in cui pure se ti informi sul vaccino anti influenzale ogni farmacista ti spiega per tabulas che è colpa di Gallera, manco fosse Massimo Franco col Papa (o manco fossero tutti del Pd). Il colpo d’occhio in una qualsiasi pausa pranzo-shopping di un giorno qualsiasi, o un sabato pomeriggio a CityLife, the place to be fino a sei mesi fa, è che Milano è vuota a metà. Che i milanesi nelle vie del fu assembramento da passeggio sono per la maggior parte a mascherina alzata, si spostano di due passi quando si incrociano. Psicologicamente l’invito a mettersela, la mascherina, funziona silenzioso e da solo: al primo sguardo appunto. Anche prima che Beppe Sala, ieri, ritornasse ai suoi video del mattino e annunciasse che “la parola del giorno è: mascherina”. “A Milano abbiamo avuto 2.303 decessi collegati al Covid. E’ stato un dramma, ma poteva essere peggio e il peggio è stato evitato grazie al comportamento dei milanesi… Vi prego, utilizzate la mascherina”.

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Impressioni a parte, la City allargata ai Bastioni, la Milano degli uffici delle aree commerciali e dei locali – dove però adesso aumenta il traffico perché la gente se può usa l’auto, e infatti torna l’Area B a pagamento, sennò a novembre si muore non per Covid ma per il caro vecchio PM10 – resta spopolata, un po’ desolata. Il celebre skyline, senza impiegati (il 70 per cento di colletti bianchi è in smart working permanente) immalinconisce la piazza e i bar di Gae Aulenti, e un po’ tutti: le città sono fatte per essere piene, altro che balle. Ma banche e grandi uffici fanno la coda negli studi di architettura specialisti in ristrutturazioni degli office per farsi progettare una dislocazione del lavoro (e dell’investimento immobiliare) nuova, differente. Semivuoti i bar del mezzogiorno, prudenza nei negozi. Il 35 per cento delle attività commerciali non ha riaperto. Alla sera la rianimazione della movida è affidata ai giovani, e la spericolatezza si fa d’obbligo. Prima o poi qualcuno la chiamerà “generazione mascherina bassa”.

 

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Un altro effetto svuotamento della città sono le università. Sono cresciute ovunque le immatricolazioni, ma molti corsi rimarranno a distanza. I fuorisede a Milano sarebbero circa 120 mila, 13 mila gli stranieri. Ma a settembre non sono tornati, il mercato degli affitti maledice il crollo. Attorno alla Bocconi e a Città studi, tra i campus e gli studentati, i luoghi di riferimento la sera maledicono anche loro. Non immaginate la serie tv The Leftovers, “gli svaniti nel nulla” (ma letteralmente “gli avanzi”), quella in cui d’un tratto una persona su due sparisce. Milano ha ripreso a macinare lavoro e fatturato, tranne: alberghi bar ristoranti negozi.

 

Il vuoto più appariscente sono i turisti, tanto che Sea e comune hanno avuto un’idea che sa di rilancio e disperazione: se arrivate in aereo durante le feste di Natale e Capodanno, la terza notte in albergo la offrono loro. Negli anni scorsi brindare sotto le torri di Porta Nuova era diventato più appetibile che farlo a Rialto. Quest’anno chissà. E’ spaventata, Milano? Ciò che preoccupa la gente non sono per ora i contagi, che salgono inesorabili ma per fortuna ancora lenti. Il tema del giorno sono i vaccini per l’influenza: non ce ne sono e non ce ne saranno abbastanza. Com’è Milano, nell’autunno tanto temuto e ora arrivato, con il virus che torna a circolare ma per fortuna, per ora, non ad ammazzare? E’ una città che al 70 per cento porta la mascherina, che ha superato lo choc del ritorno ai mezzi pubblici senza isteria e assembramenti. Ma se può li evita, persino i ragazzi. Non è una città nel panico, ma ha paura. Forse è questo: Milano la sua grande paura l’ha già vissuta, nei mesi in cui fu duramente colpita, in cui urlavano le ambulanze e gli ospedali erano in overbooking. E quella paura non l’ha superata, soprattutto gli anziani, l’ha semplicemente interiorizzata. Fatta sua, inserita nei suoi meccanismi mentali, sociali, di vita quotidiana. Nei nuovi riti. Non siamo tornati quelli di prima. Non torneremo quelli di prima tanto presto. Si cammina distanziati per una sorta di automatismo, si sbircia il negozio per fare il conto prima di entrare. Alla fermata le persone lasciano passare il tram e aspettano il prossimo, meno pieno. La prudenza lombarda è parte dei comportamenti. Che cosa può insegnare Milano a Roma, o a Napoli, le altre capitali che il grande spavento di marzo e aprile non lo hanno vissuto, non così? Che la paura sì, ed è necessario che resti. Ma no panic, anche se non andrà tutto bene.

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