PUBBLICITÁ

Theodore Roosevelt e non solo. Come nasce la dolce umanizzazione dell’orsacchiotto

Maurizio Stefanini

La mitizzazione attinge ad archetipi ancestrali e fiabe ma anche ad alcune formidabili storie politiche. Una ricognizione

PUBBLICITÁ

"Orso e Santa Chiesa!”, era il grido di guerra degli Orsini: famiglia nobiliare romana che diceva di discendere da un guerriero che era stato allattato da un’orsa. Un orso che aveva rapito e sposato una giovane donna sarebbe stato il trisavolo del re danese Svend II Estrdsön. E lo stesso nome di Artù potrebbe derivare da una radice che significa Orso. Ma sicuramente significa Orso il nome del Beowulf del primo poema anglo-sassone: letteralmente “Lupo delle Api”. Una di quelle “kenningar”, perifrasi, che caratterizzavano l’antica letteratura germanica e affascinarono Jorge Luis Borges. C’erano poi i Berserkr, invasati guerrieri vestiti di pelle d’orso dell’antico mondo germanico. E i signiferi vestiti di pelle d’orso delle legioni romane. “L’orso è animale ambiguo per eccellenza”, spiegava il grande archeologo e paleontologo Andrè Leroi Gourhan, nel commentarne la massiccia presenza tra le raffigurazioni pittoriche del Paleolitico. E’ feroce e selvaggio, ma può stare i piedi, è onnivoro, sembra mangiare con le mani, contendeva all’uomo le caverne. Già i Neanderthal seppellivano i loro morti con crani di orso, gli ainu del nord del Giappone tradizionalmente allevano un orso col latte delle loro donne per poi sacrificarlo in modo che possa portare il messaggio del villaggio agli dei, in molte mitologie dell’Estremo Oriente l’orso nella sua caverna si sfila la pelliccia per diventare uomo, e un uomo che diventa orso si vede invece nel disneyano “Koda, fratello orso”. Attinge dunque a archetipi ancestrali l’attrazione che porta molti bambini a vedere nell’orso un compagno di gioco.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


"Orso e Santa Chiesa!”, era il grido di guerra degli Orsini: famiglia nobiliare romana che diceva di discendere da un guerriero che era stato allattato da un’orsa. Un orso che aveva rapito e sposato una giovane donna sarebbe stato il trisavolo del re danese Svend II Estrdsön. E lo stesso nome di Artù potrebbe derivare da una radice che significa Orso. Ma sicuramente significa Orso il nome del Beowulf del primo poema anglo-sassone: letteralmente “Lupo delle Api”. Una di quelle “kenningar”, perifrasi, che caratterizzavano l’antica letteratura germanica e affascinarono Jorge Luis Borges. C’erano poi i Berserkr, invasati guerrieri vestiti di pelle d’orso dell’antico mondo germanico. E i signiferi vestiti di pelle d’orso delle legioni romane. “L’orso è animale ambiguo per eccellenza”, spiegava il grande archeologo e paleontologo Andrè Leroi Gourhan, nel commentarne la massiccia presenza tra le raffigurazioni pittoriche del Paleolitico. E’ feroce e selvaggio, ma può stare i piedi, è onnivoro, sembra mangiare con le mani, contendeva all’uomo le caverne. Già i Neanderthal seppellivano i loro morti con crani di orso, gli ainu del nord del Giappone tradizionalmente allevano un orso col latte delle loro donne per poi sacrificarlo in modo che possa portare il messaggio del villaggio agli dei, in molte mitologie dell’Estremo Oriente l’orso nella sua caverna si sfila la pelliccia per diventare uomo, e un uomo che diventa orso si vede invece nel disneyano “Koda, fratello orso”. Attinge dunque a archetipi ancestrali l’attrazione che porta molti bambini a vedere nell’orso un compagno di gioco.

PUBBLICITÁ

 

Dal Baloo “Papà Orso” che al “cucciolo d’uomo” Mowgli insegna la filosofia spicciola del “ti bastan poche briciole/ lo stretto indispensabile”, al Winnie the Pooh “orsetto sciocco un po’ goloso”. Ma l’archetipo degli archetipi è Teddy Bear: il pupazzo di pezza che in italiano è semplicemente l’“orsacchiotto”. Winnie the Pooh è ispirato dalla cucciola Winnipeg, idolo dei bambini allo zoo di Londra durante la Grande Guerra. Ma è rappresentato come un orsacchiotto di pezza, che era poi quello di Christopher, il figlio dello scrittore Alan Alexander Milne. Si chiamava Edward, di cui Ted è un diminutivo. Dopo alcune visite allo zoo Milne iniziò a raccontare al bambino storie che sovrapponevano il Winnipeg vero all’Edward di pezza, e così nacque l’epopea ancora popolare tra i bimbi di un secolo dopo. Ma Ted in inglese era diminutivo anche di Theodore Roosevelt. Grande presidente, tant’è che sta con Washington, Jefferson e Lincoln sul Monte Rushmore; ma anche infaticabile cacciatore, come lo celebrò Rubén Darío in un’ode sarcastica. “E’ con voce della Bibbia, o verso di Walt Whitman/ che bisognerebbe arrivare fino a te, Cacciatore!/ Primitivo e moderno/ semplice e complicato/ con una parte di Washington e quattro di Nemrod”.

 

PUBBLICITÁ

Il 15 novembre 1902 durante una battuta di caccia lungo Mississippi Roosevelt si era trovato di fronte a un cucciolo che i suoi assistenti avevano braccato con i cani, ferito a bastonate e poi legato a un albero, perché lo finisse. Il presidente si arrabbiò e disse che non avrebbe mai fatto una cosa così poco sportiva, pur ordinando di dargli il colpo di grazia. Subito i giornalisti ribattezzarono la bestia Teddy Bear, e il giorno dopo sul Washington Posti apparve la vignetta di Clifford K. Berryman, in cui il presidente volgeva le spalle all'orsetto legato con un gesto di rifiuto. Il disegno fu un successo tale che Berryman iniziò a disegnare orsetti a tutto spiano, “piccoli, rotondi e carini”. “Abbiamo trovato tutti molto gradevoli i suoi disegni di orsetti”, si congratulò il 29 dicembre lo stesso Roosevelt. Il 15 febbraio successivo Moris Michtom e sua moglie Rose misero in vetrina due orsetti di pezza nel loro negozio di Brooklyn, con il cartello “Teddy's bears”. Di nuovo, il successo fu tale che i due coniugi dovettero creare una fabbrica per soddisfare la domanda. Nel 1904 Roosevelt usò Teddy Bear come mascotte della sua campagna presidenziale, e l’orsacchiotto di pezza divenne così definitivamente un beniamino dei bambini di tutto il mondo.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ